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cospirazioni, economia e società - biblioteca telematica

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esistente, si rileva che Perrone non implorò clemenza verso i condannati; non intervenne per impetrare pietà<br />

per quelle giovani vite umane, ma rimase in un muto, complice silenzio che solo a tragedia avvenuta rompe<br />

interessandosi per la scarcerazione di alcuni arrestati; né fece sentire la sua parola quando, in regime<br />

costituzionale, nell’aprile del 1848, le salme dei Martiri furono esumate e messe in casse per essere restituite<br />

alle famiglie e il potere si oppose; né quando, nel settembre successivo, i corpi vennero oltraggiati e fatti<br />

segno di azioni incivili da parte degli uomini del comandante De Flugy.<br />

L’accusa di alcuni storici circa un suo coinvolgimento diretto nel’uccisione, ci sembra francamente<br />

un giudizio un po’ pesante anche perché non suffragato da documentazione probante. E sulla frase detta in<br />

Cattedrale? Qualche studioso giustifica il comportamento del Vescovo in linea con quanto aveva detto nel<br />

momento di salire sul soglio episcopale: «Giuro, aveva detto in presenza del Re, e prometto, sopra i Santi<br />

Evangeli, ubbidienza e fedeltà alla Reale Maestà ecc.» 74 . È vero. Aveva giurato fedeltà al Re, ma anche al<br />

suo Ufficio e come Pastore della Chiesa di Dio doveva cercare di intervenire per salvare delle vite umane! Il<br />

Te Deum venne cantato per lo scampato pericolo e non per l’uccisione dei giovani. Questo è quanto viene<br />

affermato da una parte. Ma come si poteva giubilare nel momento in cui venivano soppresse delle vite<br />

umane, anche se si trattava di esaltare l’evitata grave minaccia per la <strong>società</strong> 75 ?<br />

Il 4 ottobre 1847 le campane suonarono a festa per l’onomastico del Principe Ereditario. La<br />

celebrazione, secondo lo storico locale Oppedisano, non fu né ordinata dal Vescovo né egli vi prese parte,<br />

poiché il programma recava in calce solo la firma del Bonafede. In effetti nel programma 76 , non veniva<br />

riportata la presenza del Perrone. Le varie autorità dello Stato presero posto in chiesa secondo il grado e<br />

l’importanza, mentre all’esterno, nell’entrata principale da dove era venuta, «l’Orchestra farà i concerti<br />

all’ingresso del corteggio, e finché non sarà intonato l’Inno Ambrosiano. Indi si canterà in musica il Te<br />

Deum» 77 . A questo tipo di cerimonie la Casa Reale teneva molto 78 «ed era assolutamente vietato che si<br />

anticipassero o si posticipassero qualora venivano a coincidere con le solennità principali della Chiesa o<br />

anche in occasione di pompe funebri presente cadavere. A tale uopo il ministro della Real Casa aveva<br />

emanato disposizioni che regolavano tali coincidenze» 79 . E questo era vero. Ma si poteva sempre evitare lo<br />

sfarzo, i fuochi d’artificio, le onorificenze consegnate dopo la cerimonia religiosa.<br />

«Nell’assegnazione dei posti (...) non è ammissibile che non si avesse fatto cenno del posto che<br />

avrebbe dovuto occupare la prima Autorità Ecclesiastica» 80 . Infatti, nel programma non era previsto il posto<br />

del Vescovo, ma neanche quello di altri ecclesiastici, facendo supporre che la posizione attribuita era altrove.<br />

Sempre l’Oppedisano appellandosi al Decreto 10.5.1819, afferma che in base ad esso il posto assegnato al<br />

Perrone era quello dopo i Comandanti di Divisione militare: «Il vescovo quindi avrebbe dovuto occupare il<br />

posto a destra del Generale, se la funzione l’avesse fatta la prima Dignità Capitolare» 81 . Ma può darsi, però,<br />

che la funzione l’abbia, invece, presenziata lo stesso Prelato per cui non era seduto accanto a nessuna<br />

autorità, né militare, né civile.<br />

La vexata quaestio viene automaticamente risolta dal Bonafede che nel suo scritto, allorché parla<br />

delle manifestazioni del 4 ottobre, espressamente dice che il Perrone presiedeva la cerimonia: «Tutte queste<br />

decorazioni furono distribuite in due pompose cerimonie tenutesi l’una dal Vescovo col mio intervento nella<br />

chiesa di Geraci, dell’altra in Palmi dal Generale sotto le reali bandiere» 82 . Conseguentemente, a questo<br />

punto, viene ad escludersi anche la faziosa presa di posizione di qualche sprovveduto sostenitore che fosse<br />

stato Gaetano Fragomeni ad inventarsi la “calunniosa” frase. Ricordiamo che il Fragomeni ebbe il coraggio<br />

di proporre lo stralcio dell’omelia nel carme stampato il 26 marzo 1848 83 e a cui il Vescovo o altri non<br />

diedero controrisposta; né la legge, in tempi in cui si andava in galera per una semplicissima sospetta parola,<br />

lo perseguitò per lo scritto; segno evidente che la verità era stata messa su carta. Ed anche «il sacerdote<br />

Silvestro Alfarone l’8 febbraio 1848 con una lettera aperta accusa il Vescovo e non è stato smentito» 84 .<br />

Sull’intenzione della frase è un altro discorso. Forse avrà voluto dire nella migliore delle ipotesi, che<br />

“ieri eravamo tristi per i fatti luttuosi accaduti, mentre oggi tripudiamo per la festa del Principe ereditario”.<br />

Pur tuttavia rimane una frase infelice ed inopportuna. E sull’eccessivo attaccamento del Vescovo al Borbone<br />

si pronunciava nel 1848 una voce non sospetta. L’Intendente di Reggio nel trasmettere al Ministero<br />

dell’Interno copia di un manifesto redatto da persone scese in campo per difenderlo dagli attacchi dei liberali<br />

geracesi, affermava che Mons. Perrone era vescovo rispettato in tutta la Diocesi «essendo veramente un<br />

uomo religioso e caritatevole, si può attribuire la taccia di qualche debolezza per condiscendenza verso le<br />

persone che lo accerchiano, ma non mai fatti di malizia» 85 . E la fucilazione dei Cinque Martiri, continuava<br />

l’intendente «ha fatto si che egli cadesse dalla opinione dei congiunti di costoro e di altri liberali esaltati per<br />

la credenza che avrebbe potuto salvare la vita se più efficacemente si fosse adoperato a loro favore, presso il<br />

detto generale, credenza che Ella vede bene quanto possa essere fondata. Nello stesso anno 1848 il Vescovo<br />

per le sue idee era stato chiamato a Napoli dal Ministro dell’Interno, ma per voto espresso dal Consiglio di

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