cospirazioni, economia e società - biblioteca telematica
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genere legati alla terra dove prestavano servizio perché proprietari e per questo motivo, come vedremo, erano<br />
e rimarranno anche con l’Unità d’Italia, ancorati ad una visione conservatrice. Per accedere all’incarico di<br />
impiegato statale si doveva superare un esame modesto che prevedeva l’abilità a scrivere e leggere. Le<br />
misure disciplinari previste nei confronti degli impiegati erano la sospensione o la destituzione dall’incarico.<br />
6. La borghesia<br />
La borghesia in Calabria era davvero eterogenea. Vi era la cosiddetta borghesia contadina «- i<br />
magnifici, i nobili viventi del Settecento, i massari - che vive in una grigia agiatezza, paga di soddisfare i più<br />
immediati bisogni (...), i suoi componenti pretendono il “don”, spesso mandano i figli a studiare nei seminari<br />
e nei licei dei capoluoghi per conquistare nel paese i centri di potere, come parroci, decurioni, notai, medici,<br />
farmacisti, ecc. La piccola e media borghesia terriera non contadina si distingue per la vivacità dei suoi<br />
componenti che, rimasti indietro nella corsa verso l’anoblissement e l’acquisto dei beni dello stato, cercano<br />
disperatamente di superare i parvenus e i nuovi grandi possidenti, attraverso un incisivo impegno culturale e<br />
politico, che sfocia spesso nel radicalismo delle scelte (...); sono gli esponenti della nuova generazione<br />
romantica che maturano la propria formazione ideale attraverso il travaglio dei moti (...) e che vedono la<br />
rigenerazione popolare nella lotta antiproprietaria delle plebi contadine; le tormentate ed avventurose<br />
vicende di questi patrioti - attraverso il febbrile lavoro inteso ad ordire la trama rivoluzionaria a Napoli, tra i<br />
giovani studenti calabresi, e in Calabria tra le irrequiete masse contadine - conferiscono al movimento<br />
democratico risorgimentale calabrese una nobile carica ideale che è in contrasto con il cauto riformismo dei<br />
moderati e più tardi con il diffuso conformismo di comodo» 98 . La diffusione di questo moderatismo laddove<br />
permeava ancora la grande possidenza fondiaria, aveva creato una sorta di criminalizzazione dell’idea di<br />
“comunismo” intravista nelle rivendicazioni dei contadini (come si vedrà nei rapporti e nei processi politici);<br />
restringendo e sminuendo l’azione rivoluzionaria rivolta soprattutto non tanto al rivolgimento politico, ma in<br />
un disegno che mirava a far emergere i diritti degli “altri”. In questa dinamica i possidenti, i nuovi<br />
camaleonti, con spregiudicatezza e furbizia seppero tessere la trama a proprio vantaggio «adattandosi ai<br />
tempi mutati e strumentalizzando le vicende politiche e a proprio favore» 99 .<br />
La ricca borghesia locale, in definitiva - quella che tesaurizzava ricchezze e non investiva il capitale -<br />
, rimane ancorata a vecchi pregiudizi di retaggio feudale, incolta e incapace di proiettare fuori le proprie<br />
potenzialità, esprimendosi soltanto in termini municipalisti. Di contro abbiamo una piccola borghesia che si<br />
rivolge ad un nuovo modello di <strong>società</strong>. Quando questa poteva determinare un concreto cambiamento non lo<br />
fece in modo deciso, per paura della classe contadina, suo alleato più naturale, e del moto comunista: «preso<br />
tra due paure, quello dell’assolutismo e quello del moto contadino, che tendeva a ricostituire gli usi civici e i<br />
demani e rivendicava le terre usurpate dai signori e le invadeva e le occupava e le metteva in coltura, una<br />
parte della borghesia, quella moderata, non seppe resistere nel moto politico, cedette alla paura di perdere<br />
le terre e si ritrasse, non si lanciò nella lotta ad oltranza contro il Borbone e preferì rimanere<br />
immobile o ritrasi dalla lotta stessa» 100 .<br />
L’involuzione borghese inibirà la spinta contadina che dal 1848 fino al 1853 caratterizzerà molte<br />
realtà locali calabresi, sinonimo di un forte e concreto disagio economico.<br />
7. Il clero<br />
Divisi in due categorie “sociali” (alto e basso clero), molti preti rasentavano il limite dell’ignoranza e<br />
si erano dati al sacerdozio non certamente per vocazione, ma per tutelare i propri interessi. Settembrini<br />
asseriva che «tra costoro il governo sceglie i più stupidi e malvagi, li nomina Vescovi e loro affida le cure<br />
delle anime, l’istruzione, la polizia della diocesi, e la vigilanza su le coscienze di tutti. Onde i Vescovi sono<br />
potenti spie agl’Intendenti, ai Sotto-intendenti, a tutti i magistrati civili e militari, ed ai Ministri stessi: tengon<br />
le orecchie del Re e i più accorti tengono anche le orecchie del Cocle; onde fanno quello che vogliono» 101 .<br />
Anche se le considerazioni dello scrittore sono forse esagerate, rimane il fatto che i vescovi prestando<br />
giuramento al Re, erano “obbligati” a calmare le coscienze ed informare le autorità di qualunque<br />
manifestazione contraria al governo.<br />
Il basso clero, quello vicino ai bisogni della popolazione, partecipò al movimento insurrezionale del<br />
1847. I preti furono i mediatori tra la rivoluzione borghese ed il popolo. In testa agli insorti, tra gli evviva a<br />
Pio IX, oltre ai capi carismatici è presente, infatti, anche il sacerdote Francesco Zappia; a capo del comitato<br />
insurrezionale reggino troviamo il canonico Paolo Pellicano ed a Staiti il parroco Lorenzo Musitano che con<br />
la bandiera tricolore in mano incita il popolo a gridare Viva Pio IX, viva la Costituzione, e che morirà in