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“SEPARAZIONE PATRIMONIALE E AUTONOMIA PRIVATA”

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Vale la pena ricordare qui che, oltre ai due filoni interpretativi appena esposti è<br />

possibile individuarne un terzo rappresentato da coloro che, pur aderendo alla tesi di chi<br />

afferma che la Convenzione determinerebbe unicamente il vincolo di riconoscere trusts<br />

stranieri e non anche quelli interni, ritengono che sia possibile comunque, da parte di<br />

cittadini italiani, costituire un negozio atipico ai sensi dell’art. 1322 c.c. su beni siti in<br />

Italia, che sia regolato dalla legge italiana e soggetto alle norme imperative del nostro<br />

ordinamento 381 . Un tale negozio potrebbe conseguire gli effetti principali di un trust:<br />

come la creazione di un patrimonio separato ed autonomo rispetto a quello del<br />

disponente, in deroga a quanto previsto dall’art., 2740 c.c.<br />

Nonostante la tesi in favore della ammissibilità del trust interno o di diritto interno fosse<br />

stata accolta anche dalla giurisprudenza di merito prevalente 382 , proprio la regola<br />

espressa da quest’ultima norma, insieme al principio del numero chiuso dei diritti reali,<br />

era individuato, da altra parte della dottrina, quale il vero banco di prova relativo alla<br />

ammissibilità di un trust interno o di un trust di diritto interno. Dalla presenza di tali<br />

ordinamento al quale appartiene e, perciò, la clausola che la prevede è da reputare nulla per impossibilità<br />

dell’oggetto”.<br />

381 E. ANDREOLI, Il trust nella prassi bancaria e finanziaria,Padova, 1998, p. 26: “per quello che è dato<br />

osservare dall’esperienza italiana sembra (…) potersi affermare la possibilità di concludere un negozio<br />

atipico regolato dalla legge italiana e soggetto quindi al rispetto delle norme imperative del nostro<br />

ordinamento, che dovrebbe conseguire quel risultato principale che si è evidenziato parlando del trust:<br />

ovvero la possibilità di creare patrimoni autonomi da quello del disponente”. Così anche G. PALERMO,<br />

Contributo allo studio del trust e dei negozi di destinazione disciplinati dal diritto italiano, in Riv. dir.<br />

comm. 2001, p. 394: “ad ogni acquisto di cittadinanza corrisponde – come si sa – un nuovo Status, che è<br />

quello definito dalle leggi del paese di mutata appartenenza; né si può essere cittadini di un nuovo paese<br />

in base alle regole che, in quello di origine, regolano la cittadinanza. (…) Le cose non vanno<br />

diversamente per i negozi (da non confondere con le forme che, nei singoli ordinamenti, vengono ad<br />

esprimerli sotto il profilo giuridico). Se compiuti all’interno dello Stato italiano e nella sua esclusiva sfera<br />

di influenza, essi non potranno acquistare rilevanza, se non attraverso gli schemi, che il nostro<br />

ordinamento. E, se altrove si qualificano come trusts, in Italia sono destinati a configurarsi come negozi<br />

concretamente tipizzabili in base ai loro specifici caratteri sostanziali, cui debbono ricollegarsi quegli<br />

effetti che, nel rispetto del principio di autonomia, possono meglio rappresentare l’intento del loro<br />

autore”.<br />

382 Per una rassegna delle decisioni si veda già L. NIVARRA, Il trust e l’ordinamento italiano, in F.<br />

ALCARO – R. TOMMASINI, Mandato, fiducia e trust, Milano, p. 21 e ss. Rispetto a tale ultima figura si<br />

veda, in senso favorevole, Trib. Velletri, ordinanza 8 giugno 2005, in Eur. e dir priv., 2005, p. 785 e ss.<br />

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