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“SEPARAZIONE PATRIMONIALE E AUTONOMIA PRIVATA”

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Con riferimento alla prima ipotesi si può anzi immaginare una destinazione<br />

patrimoniale che costituisca un modo di somministrazione degli alimenti, anche a<br />

prescindere dall’esistenza dei vincoli di parentela di cui all’art. 433 c.c. L’ammissibilità<br />

di una destinazione siffatta pare confermata anche dall’art. 1881 c.c. che, per il cado<br />

della rendita vitalizia gratuita, prevede che “si può disporre che essa non sia soggetto a<br />

pignoramento o a sequestro entro i limiti del bisogno alimentare del creditore”.<br />

Quanto alle destinazione patrimoniali a beneficio di soggetti che sarebbe irragionevole<br />

escludere si può invece fare riferimento al caso dei figli minori nati al di fuori del<br />

matrimonio e a cui non si estende, di per sé, la disciplina del fondo patrimoniale. Sugli<br />

indici legislativi della ammissibilità di una tale ipotesi si tornerà più avanti al par. 2.10.<br />

altro scopo o vantaggio per un qualsiasi altro soggetto, finirebbe per esprimere due norme antinomiche.<br />

L’antinomia, nel caso di specie, consisterebbe nella coesistenza, peraltro in virtù della medesima<br />

disposizione, di due norme che “prevedono la stessa conseguenza per due fattispecie distinte”(cfr. JOERG<br />

LUTHER, Ragionevolezza (delle leggi), in Digesto delle discipline pubblicistiche, Torino, vol. XII, 1997,<br />

p. 353 che esemplifica il concetto espresso facendo riferimento al caso della previsione della “stessa<br />

prestazione in due situazioni diverse di bisogno e non bisogno (o la stessa sanzione per due fatti di diversa<br />

gravità)”). Tale situazione non può che generare una situazione di incoerenza quale “problema della<br />

conformità della legge stessa rispetto al principio di eguaglianza”. Il giudizio di ragionevolezza censura in<br />

ogni caso sia “l’omessa differenziazione delle conseguenze e il difetto di una comune “ratio<br />

distinguendi” delle norme”, sia “l’omessa differenziazione delle conseguenze e l’assenza di una comune<br />

“ratio parificandi” delle norme”(cfr. JOERG LUTHER, Ragionevolezza (delle leggi), p. 353). Tuttavia,<br />

secondo l’insegnamento di N. BOBBIO, Teoria generale del diritto, Torino, 1993, p. 216 ricorrerebbe<br />

nelle ipotesi suddette una antinomia di valutazione “che si verifica nel caso in cui una norma punisca un<br />

delitto minore con una pena più grave di quella inflitta ad un delitto maggiore. È chiaro che in questo caso<br />

non esiste un’antinomia in senso proprio, perché le due norme, quella che punisce il delitto meno grave<br />

con pena maggiore, sono perfettamente compatibili. Non di antinomia si deve parlare in questo caso, ma<br />

di ingiustizia. Ciò che antinomia e ingiustizia hanno in comune è che entrambe danno luogo ad una<br />

situazione che richiede una correzione: ma la ragione per cui si corregge l’antinomia è diversa da quella<br />

per cui si corregge l’ingiustizia. L’antinomia produce incertezza; l’ingiustizia produce diseguaglianza, e<br />

quindi la correzione ubbidisce nei due casi a due diversi valori, là al valore dell’ordine, qua a quello<br />

dell’eguaglianze”. Sul giudizio di ragionevolezza si veda, recentemente, F. MODUGNO, La ragionevolezza<br />

nella giustizia costituzionale, Napoli, 2007, p. 55 e ss. dove sottolinea che “la ragionevolezza non è un<br />

principio costituzionale” identificandosi piuttosto “con un metodo di interpretazione del diritto esistente”<br />

fondato su una logica c.d. proeretica o della preferenza “cioè della conformità piena ai parametri<br />

costituzionali”, o ancora, “della adeguatezza del principio costituzionale al caso concreto”.<br />

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