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Dialoghi sulla religione naturale - Studi umanistici Unimi - Università ...

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LA RELIGIONE DEL PROGRESSO 191<br />

bia, o la tradizione religiosa o la chiesa, è da lui considerata infalli­<br />

bile. Così egli dichiara esplicitamente di rifarsi al racconto biblico della<br />

creazione soltanto perché esso gli appare, alla stregua di qualsiasi altra<br />

testimonianza tratta da un'opera antica, degno di fede: « I only regard<br />

them as a history that deserves, at least, as much credit, as /any other<br />

book of antiquity ». Ma è proprio questa sua fede razionalistica a indurlo<br />

a pensare che una <strong>religione</strong> <strong>naturale</strong> può fondarsi, in quanto <strong>religione</strong>,<br />

soltanto sul fatto che Dio fu così gentile da « informare » Mosè o i<br />

primi uomini della sua esistenza, dei suoi attributi, dell'esistenza del­<br />

l'anima e del fatto che era stato lui a ordinare l'universo; ciò che co­<br />

stituisce un evento storico e positivo 14 .<br />

Lo studio comparato della storia delle religioni ricevette un impulso<br />

non trascurabile dal dibattito apertosi all'inizio del '700 fra teisti e dei­<br />

sti, entrambi desiderosi di provare con il ricorso alla storia la bontà<br />

delle loro tesi. Il fatto singolare è che furono probabilmente gli orto­<br />

dossi a dare il contributo maggiore al sorgere di una visione storicistica<br />

del fenomeno religioso, dal momento che, come s'è visto nel caso di<br />

Halyburton, essi intendevano provare l'inconsistenza della tesi univer­<br />

salistica dei deisti. Ciò vale anche per Campbell, che ha il merito di<br />

avanzare a questo proposito interessanti problemi di metodo. Il suo<br />

programma non è diverso, almeno nell'enunciato formale, da quello pro­<br />

posto da Hume nel Treatise (il cui primo libro uscì lo stesso anno della<br />

Necessity of revelation). Quello di Campbell è il metodo dei « repeated<br />

experiments carefully made », derivato dalla « naturai philosophy » e<br />

applicato « in matters that concern moral philosophy », al fine di de­<br />

terminare, <strong>sulla</strong> base dei fatti e degli « experiments » (che in pratica<br />

si riducono alle testimonianze dirette o indirette), quali siano i « reli-<br />

gious powers » dell'uomo.<br />

14 Ivi, pp. 386-87. Molte delle idee esposte da Campbell in The necessity of<br />

revelation erano già individuabili nella 'AQ8TV)-A.oyia, un'opera che, già nel titolo,<br />

denunciava l'ispirazione a Shaftesbury, uscita nel 1728 con il nome di un tale Ale-<br />

xander Innes, cui Campbell aveva affidato il proprio manoscritto perché cercasse di<br />

pubblicarlo a Londra. Il tale non solo la pubblicò a suo nome, ma ne intascò anche<br />

i diritti. L'opera, riedita poi nel 1733, col nome del vero autore e con il titolo An<br />

enquiry into thè originai of moral virine, meriterebbe di essere studiata come una<br />

delle tappe dell'evoluzione della filosofia morale scozzese; in essa Campbell espone<br />

la tesi (che gli attirò i fulmini della chiesa presbiteriana, la quale aveva anche<br />

bollato posizioni analoghe esposte da Hutcheson) secondo cui causa del male è il<br />

self-love, mentre la virtù consiste nell'accordo del nostro self-love con il self-love<br />

degli altri, ciò che contribuisce alla reciproca felicità.

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