Dialoghi sulla religione naturale - Studi umanistici Unimi - Università ...
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220 IL REFERENTE STORICO<br />
in opposizione con i principi religiosi, riescono ad eluderli. Così, quando<br />
qualcuno fa grande professione di <strong>religione</strong>, attenzione a non farsi gab<br />
bare (cfr. p. 274).<br />
Sono presumibilmente gli uomini del volgo ad essere le vittime<br />
preferite di questi inganni per mezzo della <strong>religione</strong>, e insieme quelli<br />
che hanno meno probabilità degli altri di mantenere viva la propria in<br />
clinazione <strong>naturale</strong> all'interesse per le cose presenti, ciò che permet<br />
terebbe loro di prendere l'iniziativa di gabbare gli altri per mezzo della<br />
<strong>religione</strong>. È vero infatti che i motivi della superstizione volgare non<br />
hanno grande influsso <strong>sulla</strong> condotta generale (cfr. p. 275), la quale ri<br />
mane soggetta al principio dell'interesse per le cose presenti. Ciò vale<br />
anche per il volgo. Ma è anche vero che talvolta essi possono avere il<br />
sopravvento e distrarre l'attenzione dell'uomo, sia pur ipocritamente,<br />
verso le « cose lontane e incerte » dell'aldilà. Le pratiche religiose, ben<br />
ché non « naturali », possono essere « naturalizzate », sia pur relativa<br />
mente, attraverso un processo che si compie soprattutto attraverso l'edu<br />
cazione, l'arma con cui gli ecclesiastici riescono a far breccia negli spi<br />
riti più ignoranti e più suscettibili di « melancholy »; cioè nel volgo,<br />
che vivendo nella « misery » e nella « poverty » è più disposto di<br />
quanto non siano i « philosophers, who cultivate reason and reflec-<br />
tion » (p. 274), a prendere per buona la « filosofia della miseria » di un<br />
Demea e non ha ancora subito l'influsso liberatore, materiale e spiri<br />
tuale, della nuova epoca progressista e razionalista. La « poverty » e la<br />
« misery » generano il pessimismo e il pessimismo favorisce i sentimenti<br />
inclination »: e, senza toccare il problema del senso che i termini di cui è com<br />
posta l'espressione hanno in altre opere di Hume e limitandoci a quello in cui il<br />
termine « naturai » viene impiegato nella parte VII dei Dialogues, v'è da credere<br />
che sia « naturai » ogni comportamento e atteggiamento che s'impone con continuità<br />
e irresistibilmente nell'esperienza comune; l'osservazione di A. JEFFNER (il quale è<br />
d'accordo sul fatto che Hume non considera « naturai » il comportamento e l'at<br />
teggiamento religioso), secondo cui nell'uso di « naturai » da parte di Hume vi<br />
sarebbe un atteggiamento valutativo e non descrittivo, non farebbe che confer<br />
mare il fatto che Hume giudica negativamente le « inclinations » che non definisce<br />
«naturai» (Butler and Hume..., cit., p. 251). Nella parte I dei Dialogues Filone,<br />
parlando dell'influsso avuto durante le « età ignoranti » dall'educazione religiosa,<br />
dice che essa « was almost equal in force to those suggestions of thè senses and<br />
common understanding by which thè most determined sceptic must allow himself<br />
to be governed » (p. 172): l'esperienza religiosa è cioè quasi <strong>naturale</strong>, ma non è<br />
<strong>naturale</strong>. Nella parte XII il principio che regge la dinamica religiosa è esplicitamente<br />
definito come non « naturai »: nella prima versione dei Dialogues si leggeva: « Such<br />
a principle of action..., not being any of thè naturai or familiar motives of human<br />
conduct... » (p. 275); il « naturai or » fu soppresso nella versione finale.