La Spada che canta

XV.
Pico non ci raggiunse quella sera. Incarichi straordinari
richiedevano la sua presenza altrove. Poco dopo la partenza del
reggente imperiale, però, arrivò un messaggero da parte del figlio di
Caio che ci portava le sue scuse e ci chiedeva di incontrarlo alla
basilica, nel foro cittadino, la mattina seguente, dove avrebbe
presieduto una corte civile come delegato di Stilicone. Non appena
le cause fossero finite, ci informò il messaggero, Pico ci avrebbe
portato in un giro di ispezione del suo accampamento di cavalleria,
cinque miglia a sud della città.
Gli mandammo un messaggio, rispondendogli che saremmo
stati lì presto - le porte venivano infatti chiuse e sbarrate dopo
l'arrivo dei magistrati - e poi andammo insieme in cerca di cibo. Ma
anche quello non ci fu permesso. Un funzionario imperiale ci
intercettò mentre ci avvicinavamo alla mensa e informò Caio che
avrebbe avuto bisogno di lui per diverse ore, cominciando presto la
mattina seguente, per preparare le carte riguardanti l'incarico di
Stilicone e i suoi codicilli. Caio fece una smorfia, gli pose un paio di
domande e poi si girò verso di me, pregando il funzionario di
aspettare.
«Perdonami, Publio, ma dovrai mangiare da solo la tua prima
sera da uomo libero. Sai come sono queste sciocchezze. Parlano di
"diverse ore" ma possono facilmente volerci dei giorni, e ci
tratterrebbero qui mentre dovremmo già essere in cammino verso
casa, quindi è meglio che cominci adesso, finché è tutto fresco nella
mia mente.»
Annuii. «E domattina? L'incontro con Pico?»
Sorrise tristemente, scuotendo la testa. «Impossibile per me. Ci
andrai da solo. Pico sarà felice di vederti e di mostrarti il suo
accampamento. Ne è molto fiero.»