La Spada che canta

muscoli della sua schiena, mentre dentro di me tremavo ancora di
miserabile sollievo, agitato dal doloroso ricordo del timore di averla
perduta. «Publio... ?»
«Sst! Non parlare. Lascia solo che ti tenga stretta.» Mi girai un
po' verso di lei, appoggiando la guancia alla sua tempia e la mano
destra intorno alla vita, sentendo sotto il braccio il morbido rilievo
dell'anca e della coscia. Mi mise il braccio intorno al collo e mi
strinse forte, respirando profondamente. Cominciai a chiederle che
cosa ci fosse che non andava, ma lei scosse la testa e mi chiuse la
bocca con dita gentili, e giacemmo immobili a lungo, malgrado la
mia evidente eccitazione che finalmente riuscii a placare con uno
sforzo di volontà.
«Amore,» sussurrai alla fine, «non conosco le parole adatte per
dirti come mi sento, ma voglio che tu sappia che credevo che non
saremmo più stati insieme come ora.»
Luceia non disse nulla.
«Ci sono stati momenti, perfino a Londinium quando dovevo
affrontare il processo in tribunale e anche in seguito, che non
riuscivo a pensare ad altro che al fatto che ti avevo perduta... e in un
modo così stupido! Non riuscivo a tollerarlo... Non potevo
tollerarlo, non volevo vivere con quel pensiero... Quasi non tornavo
a casa, tanto era grande il terrore di vederti guardare verso di me
con occhi vuoti.»
Si scostò da me, allontanandomi, e rimase a giacere supina,
irrigidita in tutto il corpo, e tutte le mie paure mi riassalirono. Una
corrente di aria fredda passò tra noi, riempiendo il vuoto che il suo
movimento aveva creato sotto le coperte, e quella sensazione,
improvvisa e sinistra, mi fece venire la pelle d'oca per il terrore.
Sentii anche il mio corpo irrigidirsi nella protesta, ma mi mancò il
coraggio di prenderla e di riportarla vicino a me.
Luceia sussurrò qualcosa, ma così sottovoce che non compresi.