La Spada che canta

XXVIII.
Pico era fresco come una rosa il giorno dopo.
Ci alzammo tutti all'alba e gli odori del cibo e del fumo di legna
erano ovunque.
Il vescovo Alarico scopri la pietra d'altare all'ammirazione
pubblica e celebrò la sua messa, invocando la benedizione di Dio e
dei suoi santi celesti sulla nuova casa appena costruita su un antico
luogo.
Ullic, la sua famiglia e i suoi druidi erano tra il pubblico, questi
ultimi guardavano con grave e impassibile interesse e quando la
messa fu finita, Alarico permise a ciascuno di esaminare la pietra
prima di chiuderla, perché vi fosse conservata, nella sua bella
custodia. Non sapevo cosa dovevo aspettarmi, non avendo mai visto
prima una pietra d'altare, e fui sincero nella mia ammirazione per la
cura e l'abilità artigianale che vi erano state profuse.
Si trattava di un blocco di marmo compatto, largo come le mie
spalle e lungo circa tre quarti della larghezza. Era spesso una
spanna, poco più di una lama di spada, e i due lati corti erano ornati
da un'incisione che ricordava i canapi usati per ormeggiare le navi.
La superficie era decorata da una bordura di disegni celtici e al
centro era inciso il monogramma Chi Rho, simbolo dei Cristiani.
Sopra al simbolo era stato scavato nella pietra un buco rettangolare
affinché vi si potesse introdurre una croce, e sotto al monogramma
cristiano c'era un rettangolo, incavato nel marmo levigato.
«Cosa significa?» chiesi ad Alarico, indicando il rettangolo.
«Non significa niente, Publio. È il coperchio di una cavità che
contiene una preziosa reliquia proveniente dalla terra di Gesù, un
osso di un dito del benedetto Giovanni Evangelista.»
Questo mi ridusse al silenzio.