La Spada che canta

iesce a tenderlo.»
Sogghignai e glielo tolsi di mano, poi lo tesi fino al mio orecchio.
«Non sei il solo, Ullic.»
«Ah!» Fece con la mano un gesto regale, come per sminuire la
mia pretesa di uguaglianza. «Tu non conti. Tu sei uno straniero. Un
dannato romano.»
«È vero.» Gli sorrisi. «E come tale sono una specie di eccezione
alla regola...» Aggrottò la fronte. «Sono contento che almeno tu
ammetta che siamo un popolo superiore.»
Si slanciò su di me e mi avrebbe buttato a terra se Luceia non
avesse scelto proprio quel momento per accorgersi di noi e lanciare
un saluto. Ullic era un pecorone di fronte a Luceia, che lo affascinava
completamente. In un attimo fui dimenticato, mentre lui si cullava
nella luce amichevole di mia moglie, perfettamente consapevole
dell'effetto che aveva su di lui. Mentre ci avvicinavamo a casa, mia
figlia Veronica, affezionatissima a Ullic, arrivò correndo a salutarlo.
Quando Ullic aveva saputo della visita inaspettata, era partito
con il suo esercito, pronto ad aiutarci nella lotta per la nostra
esistenza, se ce ne fosse stata necessità. Poi, quando era a metà
strada, aveva saputo che eravamo partiti per Londinium, così era
tornato indietro, lasciando delle sentinelle per avvertirlo del nostro
ritorno. Adesso aveva lasciato i suoi uomini accampati sulle colline,
e Britannico mandò loro un carro con un barile di birra. Quando il
carro arrivò a destinazione sentimmo grida di apprezzamento
levarsi dalla collina, ben presto si accesero i falò a illuminare la
notte, e sentimmo le voci celtiche alzarsi nei loro canti.
La nostra serata fu più tranquilla e finì presto per tutti tranne
che per me. Invece di andare a letto come gli altri, presi i primi due
volumi del diario di Caio sulla storia della Colonia e mi misi a
leggere.
La lettura di quella sera segnò una svolta nella mia vita, perché