La Spada che canta

era decorato con allegria appropriata all'atmosfera festosa della
giornata. Lunghe strisce di stoffe a colori vivaci pendevano dai muri
e i Celti di Ullic, normalmente vestiti a colori vivaci, erano paludati
nei loro abiti più sfarzosi. L'intera scena era un turbinio di colori. Le
mie orecchie isolarono fonti di musica diversa e lontano, alla mia
destra, vidi la sagoma gigantesca e impressionante di un orso
ballerino. Poi, mentre il gruppo principale attraversava i cancelli,
incominciò a risuonare la lenta cadenza di benvenuto dei tamburi di
guerra celtici, e altri ripresero il rullo; il ritmo aumentò
gradualmente e costantemente finché tutta l'aria rimbombò di
percussioni. Erano gli stessi tamburi che avevano spaventato gli
uomini di Cesare oltre quattrocento anni prima e il loro effetto non
era diminuito nei secoli. Il loro aspetto era ingannevolmente fragile:
erano strumenti leggeri, facilmente trasportabili, nient'altro che una
pelle seccata e tesa su un cerchio di legno largo una spanna,
rinforzato da due tiranti incrociati che formavano una maniglia
congiungendosi al centro del tamburo. Battuti con le due estremità
di un corto bastone, che quegli uomini maneggiavano con
incredibile destrezza, producevano una grandiosa quantità di
rumore violento, marziale, rimbombante e minaccioso.
Ullic, che era un grande esibizionista, ci aspettava in piedi,
circondato dalla sua famiglia, dai capi, e dai druidi vestiti
completamente di nero o completamente di bianco, a seconda della
loro funzione.
Ullic era splendido, fiammeggiante di colori e cosparso di
gioielli, e portava in capo il simbolo della sua maestà, il grande elmo
con l'aquila che avevo visto l'unica volta in occasione del nostro
primo incontro a Stonehenge.
I suoi uomini avevano costruito per lui e per il suo gruppo una
piattaforma, così che sovrastavano con la testa e le spalle la folla che
li circondava. Uric era in piedi alla destra del padre, un fiero giovane
con indosso una semplice tunica azzurra, legata con una fusciacca