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La Spada che canta

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nell'atrio. A quel punto non aveva più senso rimanere in silenzio.<br />

<strong>La</strong>sciammo cadere i due cadaveri con un tonfo e una voce da dentro<br />

la stanza disse: «Che cosa succede?».<br />

«Vai da Caio. Penso io a questi due figli di puttana.» Plauto si<br />

era già messo in posizione e avanzava verso i due uomini. Enid<br />

giaceva immobile dove era caduta. Io mi lanciai verso la porta<br />

proprio nel momento in cui veniva spalancata, e calai Excalibur in<br />

un sibilante fendente sul primo uomo <strong>che</strong> l'attraversò. <strong>La</strong> punta gli<br />

penetrò nel collo senza incontrare resistenza. Spalancò gli occhi e la<br />

bocca per l'incredulità, e lo slancio lo fece precipitare contro di me.<br />

Lo schivai appoggiandomi alla gamba zoppa, seguii la direzione del<br />

fendente, e assestai un colpo di rovescio al secondo uomo <strong>che</strong> si<br />

trovava sulla soglia, <strong>che</strong> non aveva avuto il tempo di riprendersi<br />

dalla sorpresa. Fu di nuovo la punta, gli ultimi sei pollici della lama,<br />

a colpirlo. Era ancora a circa sette piedi da me e aveva appena<br />

estratto il gladio, con il braccio piegato in avanti nella posizione di<br />

attacco. <strong>La</strong> lama lo colpì al polso, tagliandogli la mano di netto<br />

prima di battere contro il suo elmo. Da dietro le mie spalle arrivava<br />

il cozzare di spade di Plauto <strong>che</strong> lottava con gli altri due. Mi lanciai<br />

nello studio, conficcando il pugnale di pietra celeste sotto il braccio<br />

ancora alzato dell'uomo senza mano, e strappandoglielo dalla carne<br />

nello slancio.<br />

<strong>La</strong> scena <strong>che</strong> mi si parò davanti è ancora incastonata nella mia<br />

mente come il ricordo di un mosaico. Seneca era in piedi vicino alla<br />

culla, pietrificato per la costernazione, gli occhi e la bocca spalancati<br />

nella collera e nella sorpresa, le mani levate, e le dita puntate contro<br />

di me. Caio si era lanciato in una corsa incespicante, non so se per<br />

attaccare Seneca o per cercare di salvare il bambino. L'efebo, come lo<br />

chiamavo io, balzò verso Caio per intercettarlo, con un pugnale nella<br />

destra e la sinistra tesa ad afferrare Caio. Mentre coglievo tutti questi<br />

dettagli i due uomini si scontrarono e il peso del più giovane<br />

trascinò Caio all'indietro, facendogli perdere l'equilibrio. L'efebo,<br />

dunque, era più forte di quello <strong>che</strong> pensavo. Chiuse il braccio

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