La Spada che canta

Un insulto diretto a lei avrebbe potuto essere imperdonabile; e
questo non mi avrebbe sorpreso. E non era molto importante che
non fossero affari di Ullic, come non erano i miei. Sospettai che Ullic
potesse essere assai più che semplicemente arrabbiato.
Eppure non c'era niente di sbagliato o di innaturale
nell'attrazione e nel desiderio reciproco e spontaneo esploso tra Pico
ed Enid, né vi era niente di inusuale nella soddisfazione dei loro
sentimenti. Allora perché ero così apprensivo? Non lo sapevo, ma la
mia mente continuava a presentarmi immagini dei loro corpi
avvinghiati uno all'altro, non più coperti dal mantello. Vidi il volto
di Enid estasiata per il piacere delle sue sensazioni e poi,
improvvisamente, ero io e non Pico a essere sopra di lei. Tale
constatazione mi fece riflettere, e solo in quell'istante compresi la
ragione del mio stato d'animo. Era invidia! Ero geloso!
Mi fermai di nuovo, vicino alla sporgenza di una roccia, e cercai
di digerire quella nuova scoperta. Era un fatto molto nuovo, perché
non ricordavo di aver dedicato un simile pensiero a nessun'altra
donna, a parte Cilla Titente, da quando avevo sposato Luceia.
Almeno non seriamente. Avevo notato ogni tanto un seno
voluttuoso o un fianco tondeggiante, ma solo di sfuggita. E adesso,
di colpo, ero geloso! Da qualche parte trovai la forza di ridere di me
stesso e di riconoscere sia la comicità sia la veridicità della
situazione.
Quella bella donna matura mi aveva semplicemente ricordato la
perduta energia giovanile. Ecco il motivo per cui nessun altro si era
accorto della loro mutua attrazione: era così normale, così naturale
che non era stata notata. Soltanto io me n'ero accorto, perché, senza
saperlo, l'avevo cercata e me ne ero dispiaciuto.
D'un tratto mi sentii meglio. Il mal di testa era stato dimenticato,
la gamba zoppa aveva smesso di dolere come per magia e la mia
vescica gonfia si rimise a posto. La vuotai e mi incamminai verso la
tenda, dove trovai mia moglie addormentata e una lampada accesa