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La Spada che canta

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XXIX.<br />

Padre Andros era seduto di fronte a me e scuoteva tristemente la<br />

testa. «Mi dispiace, Publio,» disse, «ma questo è il mio<br />

suggerimento. Non vedo altro modo per fare quello <strong>che</strong> vuoi.»<br />

Ero stupefatto. Avevamo analizzato quel problema più e più<br />

volte, per mesi ormai, e continuavamo a tornare a quell'unico punto<br />

ineludibile. Sembrava <strong>che</strong> non ci fosse il modo di aggirarlo. Avevo<br />

chiesto ad Andros di aiutarmi a disegnare un'elsa a croce per la<br />

nuova spada. Volevo colare l'impugnatura usando uno stampo, in<br />

modo <strong>che</strong> fosse un unico pezzo compatto, e lui capiva perfettamente<br />

le mie necessità. Ora mi stava chiedendo di accettare e riconoscere le<br />

sue necessità e le mie richieste <strong>che</strong> fino a quel momento non avevo<br />

valutato appieno, affinché tutto funzionasse. Avevo commesso un<br />

errore basilare nella mia nuova spada, un errore veramente basilare,<br />

se consideravo quello <strong>che</strong> volevo fare adesso. Guardai di nuovo i<br />

suoi disegni. Erano molto semplici: tre piccoli schizzi, uno a fianco<br />

dell'altro.<br />

Il primo schizzo mostrava quello <strong>che</strong> io gli avevo dato, il<br />

secondo quello <strong>che</strong> gli avrei dovuto dare; e il terzo mostrava come si

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