La Spada che canta

Me lo chiedo anch'io.»
Lo lasciai a scrivere e andai alla fucina, sentendo i martelli
risuonarmi nelle orecchie mentre mi avvicinavo. Mi fermai appena
dentro per abituare gli occhi alla penombra e mi riempii i polmoni
dell'odore del fumo e del ferro, con quel rimescolamento quasi
erotico che sentivo sempre dopo una lunga assenza. Equo stava
lavorando alla forgia centrale, e lo raggiunsi passandomi il
grembiule di pelle sopra la testa.
«A cosa stai lavorando?»
Fece un balzo esagerato, come se volesse ritrarsi da qualcosa che
lo aveva spaventato. «Per le tette di Budicca! Ho visto un fantasma?
Cosa ci fai in una sporca fucina? Mi hanno detto che eri morto,
ammazzato mentre copulavi con una giumenta tentando di
migliorare la razza!»
Gli risposi con un ghigno. «No, quello era Vittore. Io preferisco
le pecore.»
«Ah!» Annuì con saggezza. «Pecore. Bene, allora ficca questo in
mezzo ai carboni.» Mi passò un pezzo di ferro sottile come la lama
di una spada, ma lungo il doppio e largo una volta e mezzo una
lama normale.
«Cos'è?»
«È quello a cui sto lavorando.»
Lo ressi con il braccio teso, sentendolo rimbalzare leggero nelle
tenaglie. «Sembra la lama di una spada, ma è troppo lunga e troppo
pesante.»
«È proprio quello che è, la lama di una spada troppo lunga e
troppo pesante.»
Scossi la testa con ironica costernazione e infilai il metallo nei
carboni, apprezzando la gradevole sensazione delle tenaglie di ferro
tra le mani.