GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE
GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE
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la bellezza è cosa diversa dal leggerlo per comprendere un contesto<br />
letterario, storico, politico, sociale. Leggere I promessi sposi come episodio<br />
importante nella storia della formazione di una coscienza nazionale<br />
italiana, ad esempio, o all’interno del dibattito filosofico romantico<br />
su natura e scopi della storiografia e della letteratura, è altra<br />
cosa che leggere I promessi sposi per il piacere di leggerli.<br />
Potrei anche esagerare, e dire che leggere un testo per goderne la<br />
bellezza è cosa diversa dal leggerlo per capirlo.<br />
Nei mesi scorsi ho letti tutti i libri pubblicati in Italia di Thomas<br />
Pynchon, narratore statunitense. Pynchon è un cosiddetto narratore<br />
postmoderno; io ho fatta questa campagna di lettura perché dovrò<br />
seguire, nei prossimi mesi, come editor, la pubblicazione di un libro<br />
molto ma molto postmoderno. E, in somma, <strong>non</strong> posso lavorare su<br />
un libro se <strong>non</strong> conosco almeno decentemente la tradizione sulla<br />
quale si innesta.<br />
Gli amici mi avevano avvertito: «Attento: nei libri di Pynchon <strong>non</strong><br />
si capisce nulla». Io comincio a leggerli, ed effettivamente <strong>non</strong> capisco<br />
nulla. Leggo Mason & Dixon, leggo Vineland, leggo V., leggo<br />
L’incanto del lotto 49, leggo Entropia e, in coscienza, posso dire: <strong>non</strong> ci<br />
ho capito nulla.<br />
Tuttavia, questi libri li ho letti. Magari sbuffando e mandando al<br />
diavolo l’autore, ma li ho letti: trovandoci dentro pagine o episodi<br />
assai belli e divertenti e altre pagine o episodi da tagliarsi le vene<br />
(soprattutto in V., del quale mi sento di dire, alla fin fine, che è un<br />
libro proprio brutto: a parte le scene di ubriacature collettive e di rissa,<br />
nella quali Pynchon è un maestro). Quindi questi libri, pur senza<br />
che io ci capissi nulla, mi procuravano piacere. Ero capace di godermeli,<br />
magari solo a tratti, a pezzi, ma ero capace.<br />
Io sono un ragazzo diligente. Ma <strong>non</strong> sono uno di quelli che per<br />
principio finiscono tutti i libri che cominciano. No, no: se una cosa<br />
<strong>non</strong> mi va, la pianto lì. Dovevo conoscere una tradizione, è vero,<br />
leggevo per lavoro, ma alla meno peggio potevo farmela raccontare<br />
dai libri di storia della letteratura. Per ogni cosa c’è un bignami.<br />
109<br />
Finché sono arrivato all’ultimo romanzo, del quale sapevo che<br />
è considerato il capolavoro di Thomas Pynchon: L’arcobaleno<br />
della gravità. Che in effetti è lunghissimo (968 pagine: lo trovate<br />
nella Biblioteca Universale Rizzoli per appena 11 euro e 36), divertentissimo,<br />
bellissimo, e si capisce tutto.<br />
Mi sono domandato, ovviamente, se dell’Arcobaleno della gravità<br />
mi è sembrato di capire tutto perché è un libro di cui si capisce<br />
tutto; o perché è effettivamente un capolavoro rispetto al quale<br />
gli altri libri di Pynchon sono da considerarsi esperimenti, tentativi<br />
e fallimenti; o perché, dài e dài, ormai mi ero addestrato a<br />
leggere Pynchon. La risposta, secondo me, è la seconda.<br />
Leggendo L’arcobaleno della gravità il piacere è stato intensissimo.<br />
Certo: intensificato, rispetto alla lettura degli altri libri di<br />
Pynchon, dal sentirmi a mio agio, dalla sensazione di capire perfettamente<br />
che cosa mi stava accadendo davanti agli occhi. Ma<br />
avevo provato piacere, seppure <strong>non</strong> così continuativamente,<br />
anche leggendo gli altri libri.<br />
Sto andando fuori tema? Ma no, ci arrivo subito. Adesso, dovendo<br />
cominciare a lavorare su questo benedetto romanzo di<br />
tradizione postmoderno-pynchoniana, mi sono messo a rileggere<br />
l’Arcobaleno. Mi sono detto: «Bene. Sono diventato un lettore<br />
di questo genere di letteratura. Ho scoperto che mi piace pure.<br />
Ho letto questo romanzo come avrei letto un qualsiasi altro<br />
romanzo più tradizionale, con facilità e piacere. Adesso cerchiamo<br />
di capire come è fatto, o meglio: di capire come si fa a<br />
farlo, un romanzo così. Perché è di questo che ho bisogno, per<br />
lavorare su un romanzo che in qualche modo gli somiglia».<br />
Dal dire al fare, c’è di mezzo il mare. Sto sguazzando da un<br />
paio di mesi dentro l’Arcobaleno, e devo ammettere che no, <strong>non</strong><br />
ho ancora capito come si fa a fare un romanzo del genere. Saprei<br />
raccontarvelo, saprei descrivervelo minutamente, saprei<br />
spiegarvi un bel po’ di pieghe dell’intreccio e delle allusioni e dei<br />
giochetti linguistici scemi che Pynchon si diverte a disseminarci