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GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE

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«Intendo quel dono che ti cambia la vita», ha risposto l’amico.<br />

«Quel dono che consiste, detto nel modo più semplice e brutale,<br />

nella Rivelazione della Verità».<br />

Nel mio racconto di Natale, minuscolo, <strong>non</strong> perfetto e nemmeno<br />

standard, <strong>non</strong> succede questo. Succede dell’altro. Ma pazienza: è<br />

comunque un racconto di Natale, e questa sera lo leggerò. Tuttavia,<br />

per sicurezza, per controllare se ho capito bene, sono andato a rileggermi<br />

il Canto di Natale di Charles Dickens. Che, se <strong>non</strong> è quello il<br />

Perfetto Racconto di Natale, ho pensato, quale racconto lo è?<br />

Allora: <strong>non</strong> vi riassumo il Canto di Natale, che tanto lo sapete tutti<br />

(e se <strong>non</strong> lo sapete, datevi una mossa e leggetelo). Ma vi ricordo il<br />

succo della storia. Il succo della storia è che un uomo viene guidato<br />

a scoprire che i poveri sono poveri; che essere poveri significa <strong>non</strong><br />

avere niente, nemmeno il possesso della propria vita; che le persone<br />

povere sono persone.<br />

Nel Canto di Natale il protagonista cattivo e maldisposto viene guidato<br />

a fare una esperienza di verità. A dirla tutta: viene guidato a fare<br />

una esperienza, a fare per la prima volta nella sua vita una esperienza<br />

del mondo. Il mondo, fino al giorno prima, per il cattivo e maldisposto<br />

Uncle Scrooge, <strong>non</strong> esisteva: <strong>non</strong> ne aveva mai fatta esperienza.<br />

Aveva fatta esperienza di un "mondo" tra virgolette: il<br />

"mondo" prodotto da lui, il "mondo" delle sue (scarse) relazioni sociali,<br />

il "mondo" dell’astrazione monetaria, eccetera eccetera. Mai,<br />

proprio mai, aveva fatta esperienza del mondo senza virgolette.<br />

È un po’ come Matrix. Uncle Scrooge se ne stava nella sua cellaculla,<br />

a dormire e a sognare di essere ricco in un mondo nel quale la<br />

ricchezza (la sua ricchezza) era la cosa più desiderabile che ci fosse;<br />

e all’improvviso qualcuno lo sveglia, lo conduce a fare esperienza<br />

del mondo senza virgolette (del mondo senza Matrix) e a un certo<br />

punto, quando finalmente la miseria del mondo è dispiegata sotto gli<br />

occhi di Uncle Scrooge, gli dice: «Benvenuto nel deserto del Reale!».<br />

Ma, c’è una differenza. Perché Matrix, con tutta la sua buona volontà,<br />

<strong>non</strong> è un Racconto di Natale.<br />

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La differenza è che il Perfetto Racconto di Natale, dopo aver<br />

condotto il protagonista a fare un’esperienza del mondo senza<br />

virgolette, mica lo abbandona lì. Tutt’altro. Provvede, invece, a<br />

fornirgli delle altre virgolette: diverse. Il protagonista esce dal<br />

"mondo", fa esperienza del mondo, e viene condotto in un<br />

«mondo».<br />

Queste virgolette sono indispensabili. Il mondo senza virgolette<br />

è incomprensibile, è orrore. Abbiamo bisogno di virgolette.<br />

Se il Velo di Maya ci separa dal deserto del Reale, abbiamo<br />

tutto il diritto di desiderare di sapere che cosa c’è al di là del<br />

Velo di Maya; ma abbiamo anche il dovere di sapere che il Velo<br />

di Maya, un Velo di Maya, è indispensabile. Senza Velo di Maya,<br />

senza virgolette, saremmo esposti all’orrore del Reale.<br />

Un paio di settimane fa scrivevo: «Quella cosa banale che si<br />

dice dei romanzi, che creano un mondo, penso che si possa ridirla<br />

con un po’ di ricchezza in più: i romanzi inventano un mondo<br />

e, pur senza uscire da questo mondo, alludono, da dentro quel<br />

mondo, a qualcosa che c’è là fuori; e in questo dirigere i nostri<br />

occhi verso il là fuori c’è, forse, quella che si chiama la verità della<br />

letteratura».<br />

Potrei aggiungere, adesso, che la verità della letteratura è forse<br />

<strong>non</strong> solo nel dirigere i nostri occhi verso il là fuori, oltre Veli e<br />

virgolette; ma anche nel riportare poi il nostro sguardo in un<br />

dentro. Perché là fuori, semplicemente, <strong>non</strong> si può vivere.<br />

Ci provo ancora (vi sarete accorti che tutto questo mio parlare<br />

è un girare intorno, un tentar di provocare intuizioni; <strong>non</strong> è un<br />

procedere tanto razionale). Ci provo dicendo: la letteratura ci<br />

fornisce esperienze immaginarie (anche la poesia, eh!, mica solo la<br />

narrativa). Ci consente quindi di sperimentare situazioni, condizioni,<br />

pensieri che ci farebbero morire, senza che ci sia pericolo<br />

di morte. E in questo modo ci permettere di includere la morte,<br />

senza averla sperimentata, dentro la nostra esperienza.

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