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GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE

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tutt’al più la nostra cosmogonia, il nostro universo simbolico, che<br />

poi è a stretto contatto con la nostra storia più intima.<br />

«Tutto questo ho pensato a causa di quella lettera <strong>non</strong> aperta del<br />

tuo racconto, a quel insistente modo di esporla, di tenerla nella storia,<br />

di erigerla a protagonista. È lì che ho capito che avevi intrapreso<br />

un sentiero diverso dalla strada principale che portava alla verità, che<br />

altrimenti sarebbe stata scritta come una mera notizia di cronaca. La<br />

lettera era il tuo girare intorno alla verità, un rappresentarla per immagini<br />

diverse, un girare per corridoi senza mai varcare nessuna soglia.<br />

Ecco, forse la letteratura è tutto questo vagare su percorsi che<br />

<strong>non</strong> portano in nessun luogo, ma che sono attigui alla verità che<br />

sentiamo il bisogno di raccontare».<br />

L’amico si chiama Alberto Bogo (il suo diario in rete si trova qui:<br />

http://www.upsaid.com/palomar), e sono felice che mi abbia permesso<br />

di usare le sue parole. La frase: «Girare per corridoi senza mai<br />

varcare nessuna soglia» mi fa venire in mente un film di Luis Bunuel,<br />

L’angelo sterminatore. In quel film (che ho visto credo vent’anni<br />

fa, e che quindi potrei ricordare tutto diverso da come è) succede<br />

questo: c’è una festa o un party, nel salone di una villa; al momento<br />

di andarsene, nessuno riesce ad andarsene; tutti arrivano fino alla<br />

porta d’ingresso (che è aperta), si guardano attorno, e decidono di<br />

<strong>non</strong> uscire. Arriva la notte, poi il giorno successivo, eccetera; la<br />

gente dorme nel salone, litiga, s’innamora, tratta affari, discute di<br />

politica o di teologia, gioca a scacchi, fa di tutto. Non so quanto<br />

tempo le soglie del salone restino inviolabili (tra l’altro, nessuno può<br />

neanche entrare); dopo un po’ di giorni, comunque, un personaggio<br />

si avvicina alla porta d’ingresso, che è sempre aperta, la guarda, e<br />

grida: «Guardate! È aperta!». Tutti escono, e il film finisce: l’ultima<br />

immagine è un gregge di pecore, e si sentono le campane.<br />

Facile lettura allegorica: il salone è la vita; i personaggi però pensano<br />

che la vera vita sia quella fuori; quando bene riescono a uscire<br />

dalla vita, entrano davvero nella vera vita: cioè muoiono, come agnelli<br />

portati al sacrificio.<br />

69<br />

Il narratore, allora, secondo me, è colui che sta dentro nella<br />

sala, come tutti gli altri, che come tutti gli altri crede di essere<br />

prigioniero nella sala, e che la vera vita sia fuori, e che un giorno,<br />

diversamente da tutti gli altri, accostandosi alla porta o a una finestra,<br />

e guardando fuori, si accorge che fuori c’è davvero la vera<br />

vita, ossia che uscendo dalla sala si muore.<br />

Il narratore <strong>non</strong> è colui che ci spiega che là fuori c’è qualcosa<br />

di diverso da quello che abbiamo sempre immaginato. Il narratore<br />

è colui che ci spiega che là fuori c’è proprio quello che abbiamo<br />

sempre immaginato: però cambiato di segno. La vera vita<br />

è davvero la vera vita, ossia la vita oltre la vita, quindi implica la<br />

morte.<br />

Il narratore è colui che coglie il <strong>non</strong>-letto. Ciò che tutti hanno<br />

avuto sott’occhio.<br />

***<br />

Questi ragionamenti, a chi voglia raccontare storie, servono<br />

molto.<br />

Servono a capire che l’immaginazione realistica è l’immaginazione<br />

più visionaria che si possa concepire. Tutti sono capaci di immaginare<br />

quello che <strong>non</strong> c’è (allora: un fungo alto due metri, un<br />

nano vestito di rosso, un’aragosta con i jeans, un ombrello e<br />

una macchina da cucire distesi sopra un tavolo anatomico; ecco<br />

fatto, ecco immaginato); la cosa difficile è immaginare quello che<br />

c’è.<br />

La figlia del mio racconto sa benissimo (adesso lo so anch’io,<br />

perché me l’ha spiegato Alberto…) che <strong>non</strong> le servirà a nulla,<br />

leggere la lettera del padre. Immaginarla, invece, immaginare questa<br />

cosa che c’è, ecco cos’è importante.<br />

Perché il mondo <strong>non</strong> va mica imitato. Va inventato. Ma ne riparleremo.

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