GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE
GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE
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Chiacchierata numero 44<br />
Buongiorno. Finivo il mio pezzo, la settimana scorsa, scrivendo:<br />
“Perché il mondo <strong>non</strong> va mica imitato. Va inventato. Ma ne riparleremo”.<br />
Ne riparleremo, ma <strong>non</strong> oggi. Oggi ho voglia di raccontarvi<br />
un’altra cosa. Che comunque c’entra.<br />
Oggi, cioè sabato 13 dicembre (giorno in cui materialmente scrivo<br />
il pezzo, alle undici e mezza di sera), sono a Palermo. Leonora Cupane<br />
dell’associazione Città Invisibili mi ha invitato a condurre un<br />
piccolo laboratorio di scrittura: la sera del venerdì, le intere giornate<br />
di sabato e domenica. Una ventina di partecipanti. Titolo del laboratorio:<br />
“Narrare vuol dire diventare un altro”.<br />
Questa del “diventare un altro” è una delle mie fisse.<br />
Mi sono accorto (mi è anche stato fatto notare…) che ormai in<br />
tutte le occasioni che ho di parlare o scrivere (se converso con gli<br />
amici, se faccio lezione, se scrivo per Stilos o nel mio diario in rete, e<br />
così via) finisco col parlare o scrivere sempre delle stesse cose. Ci<br />
sono dei pensieri che mi occupano per settimane e mesi, e per settimane<br />
e mesi letteralmente <strong>non</strong> sono capace di pensare ad altro.<br />
Il problema è che io <strong>non</strong> penso. Pensare significa, credo, stare lì da<br />
soli, e far funzionare il cervello. Magari si può nel contempo fare<br />
qualcosa per distrarre il corpo o i sentimenti: passeggiare ai giardini<br />
pubblici o in alta montagna, ascoltare buona musica che sappiamo<br />
praticamente a memoria, pulire la casa, lavorare al tornio. Io però<br />
questo <strong>non</strong> lo so fare. Da solo, <strong>non</strong> so pensare. So pensare solo<br />
scrivendo. Ultimamente, addirittura, solo parlando.<br />
Nei corsi e laboratori di scrittura il mio lavoro è sempre accuratamente<br />
preparato. Come è ovvio che sia. C’è sempre un certo spazio<br />
per l’improvvisazione (quando si leggono e commentano i testi prodotti<br />
dai partecipanti, <strong>non</strong> si può ovviamente che improvvisare; e<br />
càpita di trovarsi davanti un gruppo che ha bisogni imprevisti od offre<br />
opportunità che sarebbe un peccato <strong>non</strong> cogliere).<br />
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Tuttavia, sempre più spesso accade che nel bel mezzo di un<br />
corso o di un laboratorio (oppure di una conferenza o di una<br />
conversazione) io perda all’improvviso la Trebisonda e cominci<br />
a parlare <strong>non</strong> dell’argomento previsto, bensì del mio pensiero<br />
dominante di quel periodo.<br />
La cosa mi preoccupa.<br />
Qualche anno fa ho fissato questo pensiero: “Quando scrivo,<br />
io <strong>non</strong> svelo, io <strong>non</strong> scopro me stesso. Quando scrivo, io produco<br />
me stesso. Prima che scrivessi, <strong>non</strong> c’ero; dopo che ho scritto,<br />
ci sono”. In questi mesi ho fatto un piccolo cambiamento, e dico:<br />
“Quando scrivo, io invento me stesso”.<br />
Naturalmente, c’è una contraddizione. Basterebbe domandare:<br />
“Scusa, ma chi inventa te stesso? Se tu vieni inventato, vieni inventato<br />
da qualcuno; e questo, chi è? E se sostieni che vieni inventato<br />
da te stesso, allora vuol dire che ci sei già, prima di inventarti”.<br />
Ho deciso di accettare la contraddizione.<br />
Quando scrivo, invento un me stesso che <strong>non</strong> è esattamente<br />
me stesso. Invento un altro me stesso. Senza questo altro me<br />
stesso, <strong>non</strong> sarei capace di scrivere. Naturalmente ogni attività<br />
di scrittura richiede l’invenzione di uno specifico me stesso.<br />
Anche per scrivere questo pezzo per Stilos, devo inventare un<br />
altro me stesso. Peraltro questa è la quarantaquattresima puntata,<br />
e il me-stesso-autore-dei-pezzi-per-Stilos è ormai un soggetto<br />
abbastanza stabilizzato.<br />
Quindi: per scrivere, devo inventare un altro me stesso, e dopo<br />
averlo inventato devo diventarlo. Devo quindi, in sostanza,<br />
diventare un altro; un altro inventato da me, un altro me stesso,<br />
ma pur sempre un altro.<br />
[Stavo raccontando giusto queste cose, oggi (mentre scrivo,<br />
sono ormai le undici di sera), quando a un certo punto un signore<br />
simpatico (uno dei signori più simpatici che mi sia mai<br />
capitato di incontrare in queste situazioni) ha levate le braccia al