GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE
GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE
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Le ragioni sono tante. Una è che spesso, molto spesso, ciò che<br />
sembra molto nitido finché è un’idea, diventa molto meno nitido<br />
quando si tratta di farlo diventare quindici o cinquanta o trecento<br />
pagine, tutte piene di parole. Se abbiamo la sensazione di una grande<br />
chiarezza, se ci pare di avere a disposizione la storia (e i personaggi,<br />
le scene, i luoghi, gli abbigliamenti, i dialoghi, i contesti ecc.) fin nei<br />
minimi dettagli: questo è senz’altro positivo. Però è bene che ne dubitiamo.<br />
Quante volte succede, di iniziare a scrivere magari con foga,<br />
con grande felicità, e di ritrovarsi poi − dopo quindici, o cinquanta,<br />
o trecento pagine − con la cosa fatta a mezzo, o a un terzo,<br />
o a tre quarti, e a <strong>non</strong> saper più che pesci pigliare? Succede perfino<br />
ai professionisti.<br />
La nettezza e completezza dell’idea iniziale è spesso illusoria. Conviene,<br />
per prudenza, trattenere l’impulso di mettersi a scrivere subito,<br />
di corsa, ininterrottamente: e mettersi piuttosto a immaginare<br />
ulteriori dettagli, a conoscere meglio i luoghi, ad approfondire le conoscenze.<br />
Spesso le idee iniziali sono un po’ astratte. Un uomo è<br />
stato piantato brutalmente, il 2 novembre, dalla donna che ha amata,<br />
credendosi riamato, per dieci anni; lei gli ha detto: «Non ti ho mai<br />
amato, tu per me sei stato una disgrazia». Il nostro uomo si prende<br />
un mese di ferie per metabolizzare l’accaduto. Domanda: chi, oggi,<br />
in Italia, può prendersi un mese di ferie, di punto in bianco, in novembre?<br />
Che lavoro dovrà fare, quest’uomo, per potersi permettere<br />
una pausa siffatta? L’idea iniziale tende a <strong>non</strong> preoccuparsi di questi<br />
dettagli. Ma <strong>non</strong> sono dettagli: perché decidere la professione d’un<br />
uomo significa decidere la sua condizione sociale, il suo grado<br />
d’istruzione, il suo stile di vita, la sua morale, o soldi che può spendere,<br />
i mobili che ha in casa.<br />
Nei romanzi italiani il protagonista spesso <strong>non</strong> ha un lavoro preciso.<br />
Oppure fa uno di quei lavori vaghi − vaghi per chi <strong>non</strong> li fa −<br />
che sembrano distaccarlo dalla massa dei comuni mortali con problemi<br />
di mutuo: fa il “giornalista che <strong>non</strong> va mai in redazione”, il<br />
“regista che in questo momento <strong>non</strong> ha nessun film da girare”, il<br />
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“compositore di canzoni d’amore che campa componendone<br />
una all’anno”, il “professore universitario in anno sabbatico”,<br />
l’“imprenditore che ormai <strong>non</strong> ha più bisogno di occuparsi<br />
dell’azienda” o infine lo “scrittore” o, peggio che peggio,<br />
l’“aspirante scrittore”. Io sospetto che dietro tante vaghezze si<br />
celino spesso due cose, l’una o l’altra o tutt’e due: una certa incapacità<br />
ad avere che fare con il mondo reale, come se il mondo<br />
reale fosse un impiccio, un peso, un fastidio; e il pregiudizio che<br />
le narrazioni siano più interessanti, più attraenti, se fanno evadere<br />
il lettore dal mondo reale anche proponendogli personaggi dai<br />
mestieri misteriosi e bizzarri.<br />
Fatto sta che proprio il corpo a corpo con il mondo reale,<br />
lungi dall’essere un peso, può esaltare le nostre capacità di immaginazione<br />
e fornire appigli e appoggi alla nostra storia. Nel<br />
momento in cui il vostro personaggio smette di essere “un uomo”<br />
e diventa “il signor Pierermenegildo Bartezzaghi; <strong>non</strong> parente<br />
del Bartezzaghi dei cruciverba; nato a Cernusco sul Naviglio<br />
e residente a Milano nella zona di piazzale Gambare; trentaseienne;<br />
quasi laureato in ingegneria elettronica; sviluppatore<br />
di software per la contabilità in eterno co.co.co.; alto 1,72 e leggermente<br />
sovrappeso; piantato dalla prima fidanzata, quella dei<br />
vent’anni, dopo l’interrotta gravidanza di lei (lui, naturalmente,<br />
voleva tenere il bambino, sposarla, eccetera); piantato dalla seconda<br />
fidanzata, quella di quando lui era studente-lavoratore e<br />
tutti i suoi coetanei erano studenti e basta (cioè lui aveva soldi<br />
in tasca, e gli altri no) in occasione di un memorabile capodanno<br />
in Valtellina con amici e amiche (lei, la sera dell’ultimo, si fece<br />
scopare da un bruto culturista); piantato dalla terza fidanzata,<br />
quella laureata in legge, appunto il giorno della di lei laurea,<br />
conseguita nel giugno dell’ultimo anno di corso (mentre lui, con<br />
un terzo di esami ancora da fare, stava al terzo fuoricorso); rifugiatosi<br />
infine nella donna attuale, la quarta, quella che l’ha<br />
piantato solo ora, più o meno come un naufrago si rifugia in