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GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE

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L’apprendista teatrante, 2. Raccontavo, ormai due settimane fa, della<br />

mia pressoché prima esperienza dello scrivere per il teatro. Riassumo:<br />

mi sono trovato a lavorare per un regista (Franco Brambilla) e<br />

per quattro attori, sul tema generico Miti, oggi. Al centro della faccenda<br />

c’era dunque un tema, <strong>non</strong> una storia; c’erano comunque, necessariamente,<br />

almeno quattro personaggi. Il primo lavoro è stato:<br />

scrivere dei monologhi, delle sparate, dei dialoghi a due, per tentar<br />

di definire quale fosse la natura di ciascun personaggio.<br />

Due attrici, due attori. Uno degli attori, per scelta del regista, era<br />

un attore acrobata; e il progetto di scenografia prevedeva un grande<br />

trave in alto, appeso al quale l’attore avrebbe volteggiato, passeggiato<br />

a testa in giù, recitato e (eventualmente) cantato. Per amor di<br />

simmetria, decidemmo che una delle due attrici avrebbe abitato<br />

sotto il palco. Il palco diventava quindi un pavimento pieno di buchi.<br />

L’altro attore e l’altra attrice avrebbero posati i piedi per terra in<br />

modo normale. E fu abbastanza automatico pensare che questi due<br />

sarebbero stati una coppia: uno sposo e una sposa, un Adamo e una<br />

Eva, qualcosa del genere.<br />

Per l’attore acrobata (detto anche: l’uomo appeso) scrissi un monologo<br />

sull’osservazione (per trarne auspici) del volo degli uccelli.<br />

Per la sposa, scrissi invece una cosa che si chiamava: Osservazioni sul<br />

volo degli yogurt. L’idea era: trarre auspici dal volo degli uccelli significa<br />

pensare che nel mondo tout se tient, che l’universo è compatto e sensato;<br />

oggi però nessuno si mette a interpretare il volo degli uccelli;<br />

tutti, invece (e <strong>non</strong> credo che sia una cosa tanto diversa) interpretiamo<br />

gli andamenti dei mercati finanziari o le offerte speciali al supermercato.<br />

Al fondo, c’è sempre la convinzione (la speranza,<br />

l’illusione…) che ogni cosa nel mondo sia legata alle altre cose.<br />

Di questi due monologhi, nel testo finale, <strong>non</strong> è quasi rimasta traccia.<br />

Ma sono stati utili per mettere a fuoco i due personaggi<br />

dell’uomo appeso e della sposa; <strong>non</strong>ché per definire che cosa sarebbe<br />

materialmente successo sulla scena.<br />

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Sulla scena sarebbe successo questo: i personaggi avrebbero<br />

provato a dare corpo, con le parole e con l’azione, al loro bisogno<br />

di sentire che l’universo è compatto e sensato; avrebbero<br />

cercato quindi di allestire dei miti, di proporre degli atteggiamenti<br />

mitici, di agire come persone che credono a un mito.<br />

Tutti questi tentativi sarebbero stati fallimentari. Un loop, insomma:<br />

un continuo tentare e fallire.<br />

Non volevamo però produrre sulla scena eventi che rimandassero<br />

più che tanto a ciò che comunemente viene chiamato:<br />

mito. Non volevamo, in somma, né Deucalione e Pirra né i sette<br />

giorni della creazione; ma nemmeno i miti della rivoluzione<br />

proletaria o della parusia, del calcio o di Hollywood. Volevamo<br />

qualcosa di più elementare.<br />

Nelle infinite discussioni preparatorie, a un certo punto apparvero<br />

due parole chiave: deserto e Antigone. Deserto: nel primo<br />

film della trilogia Matrix, quando l’eroe finalmente riesce a sciogliersi<br />

dalla macchina e a giungere in quello che si suppone essere<br />

il mondo vero (e che naturalmente appare come un posto orrendo),<br />

viene accolto con una battuta sarcastica: “Benvenuto<br />

nel deserto del reale!”. La battuta è diventata anche titolo d’un<br />

libro del filosofo Slavoj Žižek (edito in Italia da Meltemi). Che<br />

cos’è, nell’interpretazione di Žižek, il “deserto del reale”? È,<br />

grosso modo, una sorta di reale puro, un reale difronte al quale<br />

siamo disarmati; un reale senza mito, senza fantasmi, senza<br />

ideologia, senza niente: nude cose, e stop. In questa idea di deserto<br />

abbiamo identificata la condizione di partenza dei nostri<br />

personaggi.<br />

Antigone: durante le improvvisazioni, quando i quattro attori<br />

(vita dura, quella dell’attore) stavano lì a pensare che erano in<br />

un deserto e dovevano inventarsi qualcosa da fare, a un certo<br />

punto saltò fuori il picnic. La cosa più elementare, appunto:<br />

siamo quattro, siamo qui, il primo passo per uscire dal deserto<br />

<strong>non</strong> può essere che quello di stabilire una minima relazione tra

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