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GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE

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tamente come attingiamo ogni momento, senza pensarci su e senza<br />

nemmeno accorgercene, al magazzino delle parole.<br />

Naturalmente quando scriviamo, soprattutto se vogliamo scrivere<br />

un’opera letteraria, stiamo bene attenti alle parole che scegliamo. Ma<br />

quando usiamo, per dire, la parola «casa», <strong>non</strong> è che ci sentiamo poco<br />

originali: la parola «casa» è stata usata da tutti gli scrittori d’Italia,<br />

per secoli, e noi li imitiamo usandola ancora; ma <strong>non</strong> sentiamo questo<br />

come una perdita di originalità. Possiamo, certo, scegliere di <strong>non</strong><br />

usare proprio la parola «casa» bensì un’altra parola o espressione più<br />

adatta ai nostri scopi: «magione», «dimora», «edificio», «abitazione»,<br />

«appartamento», «nido familiare», «cuccia», «ostello», «baracca»,<br />

«home sweet home», «prigione», «gabbia» ecc.: ma così facendo continuiamo<br />

ad attingere al grande magazzino del lessico italiano − o accettato<br />

in Italia −: ciascuna di queste parole o espressioni è stata<br />

adoperata da altri scrittori e/o parlanti prima di noi.<br />

Allo stesso modo − così chiudo il ragionamento − possiamo pensare<br />

che quando imitiamo forme del testo, schemi narrativi, articolazioni<br />

della storia ecc., <strong>non</strong> facciamo altro che usare il magazzino<br />

delle narrazioni come se fosse un magazzino delle parole; e nel riusare,<br />

adattata alle nostre esigenze, una forma di testo già usata, <strong>non</strong><br />

facciamo niente di diverso da quando diciamo, come tanti altri hanno<br />

detto, «casa» o «appartamento».<br />

Un paradosso: se volessimo parlare una lingua veramente nostra,<br />

una lingua che venga veramente dal cuore o dalla pancia o dalla musa<br />

o da dio, probabilmente parleremmo una lingua comprensibile<br />

solo a noi stessi. Così, se volessimo usare forme di testo, schemi<br />

narrativi o articolazioni della storia che vengano direttamente dal<br />

cuore ecc., probabilmente comporremmo una narrazione comprensibile<br />

solo a noi stessi.<br />

Si tratta, in somma, di pensare alla narrazione come a un luogo di<br />

compromesso: tra la voce divina che «ditta dentro» e l’elementare<br />

desiderio, o esigenza, che ciò che scriviamo sia comprensibile ad altri.<br />

Naturalmente possiamo prenderci delle libertà: possiamo miscu-<br />

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gliare la lingua italiana con i dialetti o con altre lingue, possiamo<br />

articolare la storia in maniere strane e bizzarre, possiamo attingere<br />

a tradizioni linguistiche e narrative diverse dalla nostra.<br />

***<br />

Queste cose ho dette nel laboratorio di Bergamo, domenica<br />

scorsa; e sembrava quasi che si fossero tutti convinti, finché<br />

<strong>non</strong> me ne sono uscito con questa parolaccia: «compromesso».<br />

Apriti cielo! Ma del compromesso, per l’appunto, parleremo la<br />

settimana prossima; e quanto agli esempi da Oceano mare, aspetteranno.<br />

State bene.<br />

Chiacchierata numero 9<br />

Buongiorno, buongiorno. Scrivere questa puntata è stato veramente<br />

difficile, tra un’influenza e l’altra. Perciò se dico bestialità<br />

<strong>non</strong> prendétevela. Dicevo: se volessimo parlare una lingua<br />

veramente nostra, una lingua che venga veramente da dentro di<br />

noi (dal cuore o dalla pancia, o magari dalla musa o da dio…),<br />

probabilmente parleremmo una lingua comprensibile solo a noi<br />

stessi. Esiste, e ricompare qua e là in continuazione (anche<br />

Dante s’interrogava su quale fosse la lingua di Adamo ed<br />

Eva…), il mito di una lingua originaria, una lingua profonda, una<br />

pre-lingua comune a tutte le persone esistite esistenti e future,<br />

seppellita dentro ciascuno di noi, trasmessa − diremmo oggi −<br />

via Dna, sottostante a tutte le differenti lingue effettivamente<br />

parlate. Bene: colui che chiamo «l’artista romantico» va giusto in<br />

cerca di questa pre-lingua che, da nessuno effettivamente parlata,<br />

dovrebbe essere comprensibile a chiunque.<br />

Dove la trova, l’artista romantico, la pre-lingua? Ovvio: dentro<br />

di sé: nel profondo di sé. E come fa a trovarla? Ovvio: liberan-

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