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GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE

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(dei suoi tempi) di un manoscritto a<strong>non</strong>imo, nel quale si racconta la<br />

storia di Renzo, Lucia e tutti gli altri. Questo gli consente, di tanto in<br />

tanto, e direi abbastanza spesso, di prendere le distanze da ciò che<br />

racconta, e financo dai capoversi sfacciatamente moraleggianti che<br />

qua e là gli scappano. Naturalmente nessuno dei lettori crede che ci<br />

sia davvero un autore a<strong>non</strong>imo dal quale Manzoni si limita a trascrivere.<br />

È un gioco? Sì, certo, è un gioco. Che Manzoni a suo piacimento<br />

sospende: quando abbandona l’a<strong>non</strong>imo e si prende due capitoli per<br />

raccontare, da storiografo e <strong>non</strong> da romanziere, la peste di Milano; o<br />

quando termina la storia di Gertrude con il famoso: «La sventurata<br />

rispose», che dice tutto e <strong>non</strong> dice niente, e <strong>non</strong> si ferma nemmeno<br />

cinque minuti, come sarebbe naturale, a notare come l’autore a<strong>non</strong>imo,<br />

tanto ricco di particolari fino a quel punto, sia improvvisamente<br />

ammutolito. E noi, che sappiamo giocare al gioco che Manzoni<br />

ci propone, <strong>non</strong> battiamo ciglio.<br />

Ma dire: «È un gioco» mi sembra, per quanto sia vero, un po’ poco.<br />

Anche perché spesso, quando si parla di "giochi letterari", ci si<br />

dimentica che i "giochi letterari" sono sempre giochi di relazione: di<br />

relazione con il lettore.<br />

In queste settimane ho letto un romanzo settecentesco, il Tom Jones<br />

di Henry Fielding (scritto tra il 1745 e il 1749), e me ne sono innamorato<br />

(consiglio, a chi fosse interessato, l’edizione nei Grandi Libri<br />

Garzanti; e colgo l’occasione per ringraziare l’amico Leonardo che<br />

me l’ha regalato).<br />

Il Tom Jones comincia così: «L’autore dovrebbe considerare se<br />

stesso <strong>non</strong> come un gentiluomo che offra un pranzo in forma privata<br />

o d’elemosina, bensì come il padrone d’una taverna aperta a<br />

chiunque paghi. Nel primo caso, colui che invita offre naturalmente<br />

il cibo che vuole, e quand’anche questo sia mediocre e magari sgradevole<br />

ai loro gusti, gli ospiti <strong>non</strong> debbono protestare; ché<br />

l’educazione impone loro d’approvare e lodare qualunque cosa venga<br />

loro posta dinanzi. Proprio il contrario accade al padrone d’una<br />

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taverna. Quelli che pagano vogliono dar soddisfazione al proprio<br />

palato, anche quando questo sia raffinato e capriccioso, e<br />

se <strong>non</strong> è tutto di loro gusto, si sentono in diritto di criticare, di<br />

protestare, d’imprecar magari contro il pranzo, senz’alcun ritegno».<br />

Manzoni <strong>non</strong> avrebbe mai paragonato il proprio romanzo a<br />

una taverna, credo; piuttosto a una civile conversazione; ma, se<br />

ci pensate, il "gioco" che lui fa con noi lettori e con il suo autore<br />

a<strong>non</strong>imo, è proprio questo. Manzoni interloquisce con<br />

l’autore, lo prende garbatamente in giro, mette in dubbio ciò<br />

che dice, lo corregge, lo scorcia, in somma: <strong>non</strong> fa il chiasso da<br />

taverna prospettato da Fielding ma, mettendosi nei panni del<br />

trascrittore e quindi, per così dire, del "primo lettore" del manoscritto<br />

dell’autore a<strong>non</strong>imo, provvede per conto nostro (di noi<br />

lettori) a «criticare, protestare, imprecar magari contro il pranzo».<br />

Con un certo ritegno, però.<br />

A questo punto provo a dire: l’autore è un modo di relazione con il<br />

lettore. Il signor Alessandro Manzoni si inventa, per stare in relazione<br />

con il lettore, di "fare l’autore" in un certo modo. Così<br />

come io, per stare in relazione con voi, mi sono inventato di<br />

"fare l’autore" in un certo modo.<br />

Ecco, l’importante è questo, secondo me: ricordarsi che<br />

l’autore è un’invenzione, e che questa invenzione serve a stare<br />

in relazione con il lettore.<br />

***<br />

Naturalmente, uno stesso autore può "fare l’autore" in modi<br />

molto diversi. Ci sono autori che "fanno l’autore" sempre nello<br />

stesso modo, in tutte le loro opere; e autori che si divertono a<br />

"fare l’autore" in modi sempre diversi. Italo Calvino, ad esempio,<br />

era uno di questi. Palomar, Se una notte d’inverno un viaggiatore<br />

e Il visconte dimezzato, a me <strong>non</strong> sembrano nemmeno scritti dalla

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