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GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE

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tanto in tanto espressioni fortissime («La sventurata rispose», cap.<br />

X); e la scelta dell’espressione <strong>non</strong> impedisce a Dante di essere di<br />

tanto in tanto addirittura elementare («La bocca le baciò tutto tremante»,<br />

nell’episodio di Paolo e Francesca: frase che potrebbe stare<br />

benissimo in un romanzo Harmony).<br />

Tutto questo che ho detto della lingua vale evidentemente, secondo<br />

il parallelismo che facevo la settimana scorsa, per le forme e i<br />

modi della narrazione. Esistono in noi delle «pre-forme della narrazione»?<br />

Chi lo sa, io dico. Magari sì. Psicoanalisti e antropologi potrebbero<br />

avere delle idee in proposito. Possiamo cercare di sprofondare<br />

in noi per avvicinarle. In confidenza: ogni volta che ne troverete<br />

una, di pre-forma, vi accorgerete che ce ne sono altre molto più<br />

nel profondo…<br />

Basta, basta. Alla prossima settimana. Dove dovrò parlarvi del<br />

classicismo, e toccherà rimandare ancora gli esempi di imitazione<br />

tratti da Oceano mare di Baricco. Pazienza.<br />

Chiacchierata numero 10<br />

Buongiorno. Scusate, ma devo sbrigare un po’ di posta. Un lettore<br />

mi ha scritto nei giorni scorsi, via posta elettronica: «Caro Mozzi, le<br />

sue chiacchierate su Stilos sono anche belle e simpatiche; però, devo<br />

dirle, ho l’impressione che lei stia menando il can per l’aia. A sentir<br />

lei, dovremmo essere sempre lì ad aspettare, a esitare, a farci mille<br />

domande, a immaginarci il possibile lettore, a cercare modelli da<br />

imitare, a riflettere sull’origine di ciascuna parola o di ciascuna formula<br />

narrativa che ci venga in mente; ma, come dire, prima o poi<br />

dovrà pur venire il momento di mettersi lì, ed effettivamente scrivere.<br />

O no? Mi dica, sinceramente: ma lei, si comporta davvero così<br />

come ci suggerisce di comportarci? E poi: le cose che ci racconta, lei<br />

le ha sempre sapute, ancora da prima di scrivere il suo primo racconto,<br />

quando ha sentito di avere la vocazione del narratore, oppure<br />

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le ha imparate nel tempo, a forza di scrivere e scrivere? Perché,<br />

vede, può darsi che ciò che lei ci racconta sia giusto e sensato;<br />

però può anche darsi che certi modi di procedere, di ragionare e<br />

di immaginare, possano essere imparati solo a forza di fare, di<br />

agire, di scrivere; mentre potrebbe essere del tutto inutile sentirsene<br />

parlare così, preventivamente, astrattamente…».<br />

Il lettore, come si vede, è persona di grandissimo buon senso.<br />

Ebbene sì, è vero: sto menando il can per l’aia. È vero: prima o<br />

poi deve pur venire il momento in cui ci si mette lì a scrivere, e<br />

succeda quel che succeda (purché succeda qualcosa). È vero,<br />

<strong>non</strong> sempre io mi comporto nei modi in cui vi suggerisco di<br />

comportarvi: a volte lavoro moltissimo prima di scrivere, altre<br />

volte mi siedo a scrivere il giorno stesso in cui l’idea mi è venuta<br />

in mente; a volte mi riempio di scrupoli realistici, altre<br />

volte tiro via dritto limitandomi a controllare le cose essenziali.<br />

È vero, tutto ciò che vi racconto <strong>non</strong> l’ho saputo da sempre,<br />

l’ho imparato un po’ per volta, a forza di scrivere e pubblicare;<br />

ma soprattutto l’ho imparato a forza di stare in aula − in innumerevoli<br />

“corsi” e “laboratori”, <strong>non</strong>ché “workshops” e<br />

“cantieri” di “scrittura” − a cercare di insegnare ad altri come<br />

fare per benino qualcosa che a me, in fin dei conti, viene del<br />

tutto naturale.<br />

Non è vero, invece, che io abbia un giorno sentita la vocazione<br />

del narratore. Di questo, peraltro, parleremo un’altra volta.<br />

Ho cominciato a scrivere il mio primo racconto il 17 febbraio<br />

1991, all’età di trentun anni e mezzo. Il mio primo libro è uscito<br />

in libreria il 30 aprile 1993. Se penso a che cosa ero allora devo<br />

dire: ero un narratore ingenuo e sentimentale. Molto ingenuo, e<br />

sentimentale in una maniera un po’ cervellotica. Oggi, se rileggo<br />

quei racconti scritti dieci, dodici anni fa, mi dico: «Ma come ho<br />

fatto a inventarmi queste cose? Da dove le ho tirate fuori?»; e,<br />

confesso, spesso <strong>non</strong> so rispondere. Mi sento dire a volte che<br />

quei miei primi racconti sarebbero più “amabili” di quelli che

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