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GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE

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al balzo e mi scrive: «Caro Mozzi: mi compiaccio che in questo sedicente<br />

corso di scrittura e narrazione a puntate lei abbia smesso di<br />

tergiversare. Magari, però, si potrebbe provare ad andare un po’ oltre<br />

l’inizio, vero? A spiegare un po’ come si scrive una storia, tutta,<br />

da cima a fondo, no?».<br />

Sono d’accordo. Una storia, dunque, si può scrivere una volta che<br />

si siano decise due cose:<br />

prima cosa, qual è il conflitto alla base della storia stessa;<br />

seconda cosa, qual è la voce che racconta la storia.<br />

Queste due decisioni sono preliminari. Non c’è scampo. Se ho<br />

l’abitudine di riempire quaderni o hard disk di appunti abbozzi e<br />

tentativi, niente si concretizzerà finché <strong>non</strong> avrò decise queste due<br />

cose: qual è il conflitto, qual è la voce.<br />

La voce è una cosa che il lettore deve sentire subito, dalla prima riga.<br />

E il conflitto, se viene immediatamente presentato, immediatamente<br />

accalappia il lettore.<br />

Si può dire, secondo me, che trovare l’incipit di una storia, cioè un<br />

paragrafo nel quale si senta la voce di chi racconta (un narratore<br />

esterno, un personaggio ecc.) e si percepisca l’esistenza di un conflitto<br />

(<strong>non</strong> necessariamente si capisca che conflitto è, quali sono i<br />

suoi esatti termini ecc.), significa veramente essere “a metà<br />

dell’opera”. Almeno per quanto riguarda il racconto. Per un romanzo,<br />

<strong>non</strong> so. Io <strong>non</strong> so scrivere romanzi, quindi <strong>non</strong> mi azzardo a dire.<br />

Credo che valga, quel che sto dicendo, oltre che per il racconto,<br />

per i romanzi che adoperano la prima persona. Ma <strong>non</strong> sono sicurissimo.<br />

Prendiamo uno degli incipit più belli che io conosca: quello del romanzo<br />

Memoriale di Paolo Volponi (ora nei tascabili Einaudi):<br />

«I miei mali sono cominciati tutti alcuni mesi dopo il mio ritorno<br />

dalla prigionia in Germania, quasi che la terra materna, dopo tanto e<br />

così crudele distacco, mi rigettasse. Io sono nato il 12 marzo 1919<br />

ad Avig<strong>non</strong>e, in Francia; ma sono italiano e di genitori italiani, padre<br />

piemontese e madre veneta, nata nella campagna fra Padova e Tre-<br />

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viso, in luoghi assai belli, ella mi ha sempre detto, che io <strong>non</strong><br />

conosco. Oggi che scrivo ho già compiuto trentasei anni e i<br />

miei mali sono arrivati a un punto tale che <strong>non</strong> posso fare a<br />

meno di denunciarli. Scrivo, stando a casa mia, a Candia, nel<br />

Canavese, in provincia di Torino. Questa casa è fuori del paese,<br />

verso il piccolo lago di Candia; ma un poco spostata a sinistra,<br />

tra pese e lago, verso la collina; è una casa di campagna con un<br />

poco di orto, la sua loggia di mattoni rossi, il fienile e la stalla<br />

abbandonati, dove vivono in disordine alcune galline, due galli e<br />

una famiglia di conigli, quasi selvatici. Io <strong>non</strong> curo la terra né gli<br />

animali da cortile, perché sono un operaio di una fabbrica in<br />

città; di una fabbrica grande più della stessa città».<br />

La potenza di questo incipit mi lascia senza fiato. Mi ricordo<br />

che lessi questo romanzo per la prima volta andando ad Ancona,<br />

in treno. Lo aprii che il treno s’era appena mosso da Padova,<br />

mia città, e quando si trattò di scendere a Bologna per cambiare,<br />

quasi me ne dimenticai. Perché, poi, tutto il libro continua<br />

con questo slancio, senza mai mutare l’andatura. Arrivai ad<br />

Ancona che era notte fonda, crollai a dormire nel letto della<br />

pensione, terminai di leggere la mattina del giorno dopo, mentre<br />

sbocconcellavo l’orribile croissant confezionato della colazione.<br />

***<br />

Da questo incipit apprendiamo innanzitutto alcune coordinate<br />

spaziotemporali: dove siamo, che anni sono. Poi apprendiamo<br />

una quantità di cose materiali sul personaggio narratore: l’età, la<br />

condizione sociale bassa (i genitori sono dovuti andare a cercar<br />

lavoro in Francia), l’origine contadina, la prigionia in Germania<br />

ecc. Ma apprendiamo soprattutto, e fin dalle primissime parole,<br />

molte cose sulla personalità di qust’uomo: e le apprendiamo,

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