GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE
GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE
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mia <strong>non</strong>na paterna che ci aveva ospitati per due settimane; ricordo il<br />
dispiacere, e la rabbia, l’anno dopo, quando ritornammo lì e <strong>non</strong> riuscimmo<br />
più a trovarlo).<br />
Mi piaceva leggere libri che mi insegnavano delle cose. Anche<br />
adesso mi piace leggere libri che mi insegnano delle cose. Mi piaceva<br />
leggere libri che mi raccontavano delle cose vere. C’erano anche i libri<br />
che raccontavano storie inventate, ma quelli mi interessavano di<br />
meno. Preferivo Le avventure di Robinson Crusoe nell’isola deserta a I viaggi<br />
di Gulliver: era troppo evidente che Gulliver, quei favolosi viaggi,<br />
se li era inventati di sana pianta! Invece Robinson, quello era uno<br />
che si era trovato veramente nei guai, e se l’era cavata ottimamente!<br />
A un certo punto capii che c’erano libri che raccontavano storie in<br />
tutto e per tutto, o per molta parte, inventate; e che tuttavia sembravano<br />
raccontare storie vere. Robinson Crusoe era uno di questi. Ma<br />
anche La luce che si spense di Kipling o Michele Strogoff di Verne. La cosa<br />
mi creò dei problemi. «Se uno racconta una storia che <strong>non</strong> è vera»,<br />
dicevo a mia mamma, «dovrebbe avvisare prima. Non va bene,<br />
che uno se ne debba accorgere a metà libro, perché succede qualcosa<br />
di impossibile». Mia mamma diceva: «Ma Giulio, le storie dei romanzi<br />
sono tutte inventate». «Ma perché?», dicevo io. «Ma perché<br />
sì», diceva lei, disorientata dal mio infantile furore epistemologico, «i<br />
romanzi sono così. Sembrano veri, ma sono inventati».<br />
In somma, persi la mia ingenuità. Cominciai a guardare i romanzi<br />
con sospetto. Comunque li leggevo, perché leggevo qualunque cosa.<br />
Finché <strong>non</strong> incappai in una sequenza tremenda: I ragazzi della via Pal,<br />
Senza famiglia e Incompreso. Quando riconsegnai Incompreso a mia<br />
mamma, perché lo restituisse alla Zia Prestatrice Di Libri (c’era questa<br />
zia, maestra elementare in pensione, che possedeva tutti i romanzi<br />
per ragazzi, nessuno escluso: quindicinalmente mia mamma<br />
passava da lei, restituiva i quattro o cinque libri che avevamo letti<br />
nella quindicina - eravamo in tre - e ne prelevava altrettanti), le dissi<br />
solennemente: «Io, questo libro, <strong>non</strong> lo farò mai leggere a mio figlio».<br />
Ero così devastato che mia mamma si preoccupò, e per un<br />
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certo tempo mi dirottò su letture meno pericolose: La grande avventura<br />
di un piccolo baco da seta, I grandi animali delle savane, I grandi<br />
inventori dell’Ottocento (tutte cose grandi, per noi piccoli!), e così<br />
via.<br />
Ultimamente, dicevo, faccio molta fatica a leggere. Incontro<br />
continuamente libri che raccontano storie inventate in maniera<br />
perfettamente credibile. Non serve neanche che vada a cercarli<br />
in libreria: me li spediscono a casa, una dozzina per settimana.<br />
Essere uno scrittore ha anche di questi privilegi. E io, sinceramente,<br />
<strong>non</strong> ne posso più. Non mi disturba leggere storie inventate.<br />
Ho appena finito di rileggere, per puro e purissimo diletto,<br />
l’Orlando furioso. Ma le storie inventate raccontate in maniera<br />
perfettamente verosimile, quelle ormai mi danno sui nervi.<br />
«C’è scritto sopra: Romanzo», ha dichiarato salomonicamente<br />
un amico, grande lettore e fumatore di pipa, con il quale, giorni<br />
fa, discutevo animatamente di queste cose.<br />
«Sì, vabbè», ho detto io. «Ma tu <strong>non</strong> consideri l’altra faccia<br />
della questione».<br />
«Quale faccia?», ha detto l’amico mordicchiando la pipa.<br />
«Ad esempio», ho detto io, «che a forza di leggere storie vere<br />
che sembrano verosimili e storie inventate che sembrano altrettanto<br />
inverosimili, si comincia a fare confusione».<br />
«Siamo tutti adulti», ha dichiarato l’amico esalando una grande<br />
quantità di fumo.<br />
«I bambini no», ho detto.<br />
«Ecco», ha detto l’amico allargando le braccia, «tra cinque minuti<br />
comincerai a parlare male di Berlusconi».<br />
«No», ho detto io. «Ma a te <strong>non</strong> viene in mente di domandarti<br />
come mai i nostri narratori si dedichino quasi tutti a scrivere<br />
storie inventate che sembrano vere?».<br />
«Gli scrittori l’hanno sempre fatto», ha detto l’amico scrutando<br />
il fornelletto della pipa.