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GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE

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cendere la sigaretta - ripetuto e insistito fino al punto da renderlo<br />

misteriosamente ipersignificante.<br />

E notiamo, infine, come ciascuno dei gesti di ciascun personaggio<br />

- così come ogni loro battuta - <strong>non</strong> fa che ridefinire la relazione di<br />

quel personaggio con gli altri, o con almeno un altro. Ma riprendiamo<br />

il discorso tra una settimana.<br />

Chiacchierata numero 60<br />

Buongiorno, buongiorno. Ancora sul dialogo. È possibile, a questo<br />

punto, fissare dei criteri per scrivere un buon dialogo? Possiamo<br />

provarci: con la raccomandazione, però, di prendere questi criteri<br />

<strong>non</strong> come delle regole, ma come semplici indicazioni. Tant’è che alcuni<br />

di questi criteri, come vedremo subito, ne limitano e correggono<br />

altri. Cominciamo:<br />

1. Un buon dialogo è fatto di tante parole piene e di pochissime parole<br />

vuote (vedi puntata 57). Le interiezioni, le esclamazioni, i saluti, le<br />

frasi di circostanza, le battute insignificanti: tutto questo appartiene<br />

alla conversazione reale, ma <strong>non</strong> alla conversazione scritta nelle narrazioni.<br />

2. Tuttavia, le parole vuote possono essere fondamentali, addirittura<br />

costitutive del dialogo, quando aiutano a mettere in luce la relazione<br />

esistente tra i personaggi: l’ossequiosità di uno, la reticenza<br />

dell’altro, vengono mostrate soprattutto dall’uso e dall’abuso di parole<br />

vuote.<br />

3. Il primo nemico del buon dialogo è la ridondanza. Ogni volta<br />

che scrivo una battuta, vado a capo, e mi accingo a scriverne<br />

un’altra, devo domandarmi: «Ciò che B risponde ad A, può essere<br />

intuito dal lettore?». Se la risposta è: «Sì, da ciò che A dice, da ciò<br />

che si sa di B, dalle circostanze eccetera, il lettore può intuire, già sa,<br />

che cosa B risponderà ad A»; se la risposta è questa, allora la risposta<br />

di B è semplicemente superflua.<br />

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4. Un dialogo avviene sempre tra almeno due personaggi, in<br />

uno spazio. Esso quindi è costituito anche dagli sguardi di A<br />

verso B, ci C verso A; dai movimenti dei personaggi, soprattutto<br />

dagli avvicinamenti e dagli allontanamenti, dai contatti di corpo,<br />

dagli incroci di sguardi. Questi avvicinamenti, allontanamenti,<br />

contatti e incroci, dipenderanno anche dallo spazio nel quale<br />

avviene il dialogo. Bisogna quindi immaginare bene lo spazio e<br />

gestire i personaggi come se fossimo dei registi di teatro alle<br />

prese con degli attori.<br />

5. I movimenti di cui al punto 4 funzionano un po’ come una<br />

punteggiatura del dialogo. Ma possono essere usati anche come<br />

una antipunteggiatura: cioè per far dire ai personaggi (con il corpo,<br />

con il moto) cose diverse da quelle che dicono con le parole.<br />

Un certo grado di contraddizione tra parole e corpo rende<br />

più saporito il personaggio, lo fa essere meno tutto d’un pezzo,<br />

più credibile.<br />

6. Se una battuta di dialogo può essere sostituita da un gesto, è<br />

opportuno sostituirla con un gesto. Il lettore ha bisogno di cose<br />

da vedere, e un gesto sarà sempre più visibile della più azzeccata<br />

delle battute. Naturalmente <strong>non</strong> deve trattarsi di gesti-parola<br />

(«Fece segno di no con la testa») ma di gesti che prendono il significato<br />

di una risposta in quel determinato contesto.<br />

7. I personaggi «dicono», «domandano», «sussurrano», «bisbigliano»,<br />

«urlano», «gridano», «strillano», e così via. I personaggi<br />

<strong>non</strong> «esclamano con voce rotta dall’angoscia», <strong>non</strong> «dicono con<br />

voce flautata», <strong>non</strong> «mugolano con le lacrime agli occhi», <strong>non</strong><br />

«confessano torcendosi le mani», e così via. Il dialogo ideale è<br />

quello in cui si usa sempre il più semplice dei verbi, «dice», «disse»;<br />

e l’intonazione di voce si capisce dalle parole stesse e dal<br />

contesto.<br />

8. Un buon dialogo si scrive e si rilegge: nel rileggerlo si toglie<br />

almeno un venti per cento del testo.

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