03.06.2013 Views

GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE

GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE

GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

pefacente, viaggia alla stessa velocità per tutti i personaggi: mentre,<br />

nella narrazione sulla pagina, il tempo ha normalmente velocità diverse<br />

per ciascun personaggio.<br />

Un’altra volta ho scritto un racconto nelle cui prime tre pagine ho<br />

minuziosamente descritta l’abitazione del protagonista. Facevo una<br />

specie di lenta carrellata lungo le pareti; poi concludevo con uno zoom<br />

indietro grazie al quale l’abitazione, composta di un unico locale, appariva<br />

finalmente tutta intera, e uno zoom avanti che terminava su un<br />

primo piano del protagonista, seduto al suo tavolo al centro della<br />

stanza.<br />

Ho usati termini tecnici del cinema: carrellata, zoom indietro,<br />

zoom avanti. E infatti il cinema somiglia molto di più alla narrazione<br />

sulla pagina che alla narrazione sulla scena teatrale. Il cinema ha,<br />

esattamente come la narrazione sulla pagina (scritta, ma anche disegnata:<br />

i fumetti), la possibilità di produrre focalizzazioni precisissime.<br />

Pensate, ad esempio, alla scena d’apertura di Donne sull’orlo di una crisi<br />

di nervi di Pedro Almodòvar: la cinepresa si muove più o meno come<br />

si muoveva il mio occhi nel racconto di cui sopra, e si fermava su un<br />

primo piano di un’arancia, enorme in tutto lo schermo.<br />

Bene: sulla scena teatrale, è ancora tutto diverso. Certo: i gesti, le<br />

luci soprattutto, possono "ritagliare" lo spazio, concentrare<br />

l’attenzione su questo o quel particolare od oggetto. Ma se anche io<br />

piombo la scena nell’oscurità, e lascio solo una luce che illumini il<br />

teschio sulla mano protesa di Amleto, ho sì una focalizzazione<br />

molto intensa: ma <strong>non</strong> ho, per così dire, un teschio grande come<br />

tutto uno schermo da cinema.<br />

Per di più, il regista era fermamente intenzionato a far restare gli<br />

attori in scena per tutto il tempo. Sì, ogni tanto l’uomo appeso si<br />

appartava là in cima, ogni tanto la donna sotterrata si sotterrava per<br />

qualche momento: ma lo sposo e la sposa, ad esempio, erano sempre<br />

lì. Magari si appartavano, si sedevano su una chaise-longue o sulla<br />

sedia volante (c’era una sedia volante, in scena), si facevano per un<br />

po’ i fatti loro: ma, alla fin fine, erano sempre tutti lì.<br />

114<br />

E così ho assistito, con crescente ammirazione, a quel lavoro<br />

che il regista chiamava: "montaggio". Una cosa molto semplice:<br />

un po’ alla volta, attraverso pazientissime ripetizioni (ho scoperte<br />

le doti fondamentali dell’attore: memoria gestuale e pazienza)<br />

il tempo di ciascun attore veniva riempito. Era come se<br />

il regista avesse in corpo un metronomo (e difatti, lo scartafaccio<br />

sul quale l’assistente registrava passi, intonazioni, gesti, velocità<br />

eccetera, lo chiamava partitura), una sensibilità minuziosissima<br />

per il tempo. E vedevo che, pian piano, davvero il tempo<br />

si riempiva. Quando abbiamo fatte, una settimana fa, le prime<br />

prove aperte, il pubblico ha visto uno spettacolo ancora in fieri,<br />

largamente imperfetto (anche sul piano del testo), ma comunque<br />

metronomicamente esatto. Su quel palco, ciascuno degli<br />

attori stava per un’ora e cinque: e viveva per un’ora e cinque,<br />

senza buchi, senza rallentamenti (e senza, intendiàmoci, irragionevoli<br />

accelerazioni).<br />

Mi viene in mente quello che scrivevo, qualche settimana fa, a<br />

proposito del dialogo (dalla puntata 55 alla puntata 63). Raccomandavo<br />

insistentemente la rapidità delle battute, la connessione<br />

tra battute e gesto, il controllo del tempo, e così via. Ho<br />

scoperto nei giorni scorsi che scrivere un buon dialogo interno<br />

a una narrazione è uno scherzo, rispetto allo scrivere una scena<br />

per il teatro: e questo <strong>non</strong> perché nel teatro bisogna far passare<br />

quasi tutto nella parola detta dai personaggi; ma perché, appunto,<br />

nel teatro il tempo e la focalizzazione funzionano in<br />

modo completamente diverso.<br />

Sulla base di quest’unica esperienza <strong>non</strong> posso certo permettermi<br />

di dispensare consigli. Ma mi sento di dire (ne ho parlato<br />

a lungo, ovviamente, con Franco Brambilla, regista dello spettacolo)<br />

che le cose da apprendere, da sperimentare, sono appunto<br />

queste: tempo e focalizzazione. E sospetto che ci sia un sistema<br />

solo: provare e riprovare, guardar lavorare chi già sa. Grazie alla

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!