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GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE

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ma della mia immaginazione. Certo: ogni lettore (lo dicevo la settimana<br />

scorsa) reagisce diversamente a una narrazione. Ogni lettore è<br />

diverso da un altro lettore, e quindi la mia narrazione, a contatto con<br />

ciascun diverso lettore, produce diversi effetti. Ma questo <strong>non</strong> mi<br />

interessa. Non dico che sia un inconveniente: dico che <strong>non</strong> mi interessa.<br />

Se pensassi che è il lettore che fa il libro, dovrei fare un libro<br />

tutto di pagine bianche: così il lettore sarà libero di farci quello che<br />

vuole. Ma questo è un boomerang: niente è meno suggestivo di una<br />

pagina bianca.<br />

Mi rendo conto che c’è un paradosso. Racconto una storia sapendo<br />

che il lettore ne farà quel che vorrà, e tuttavia cerco di stabilire<br />

un dominio sul lettore.<br />

È come quando sono innamorato. Voglio che la persona amata sia<br />

liberamente sé stessa, e voglio che sia mia. Ne riparleremo.<br />

Chiacchierata numero 17<br />

Buongiorno. Interrompo il ragionamento della settimana scorsa<br />

(finivo accennando all’innamoramento come modello della relazione<br />

tra lo scrivente e il lettore; dicevo che come si hanno verso la persona<br />

amata sia il desiderio di possederla sia il desiderio che sia totalmente<br />

sé stessa, ossia libera, così lo scrivente desidera dominare<br />

l’immaginazione del lettore pur sapendo che il lettore, di ciò che egli<br />

scrive, farà ciò che vuole). Interrompo il ragionamento, dicevo, per<br />

dirvi che sono appena partito da Bologna (è martedì 13 maggio, sono<br />

le dieci e cinque del mattino) e sto andando a Napoli, dove arriverò<br />

alle due e mezza. Ho quattro ore abbondanti a disposizione;<br />

quindi ho tirato fuori il portatile e mi sono messo a scrivere.<br />

L’altro giorno una gentile giornalista, intervistandomi al telefono,<br />

mi ha domandato: «Ma lei, quando scrive?». «Nei ritagli di tempo»,<br />

ho risposto. «Cioè?». «Cioè quando posso. Ci sono certi mesi<br />

dell’anno che <strong>non</strong> scrivo nulla se <strong>non</strong> cose di lavoro,» (questo è uno<br />

27<br />

di quei mesi, e questo articolo è una cosa di lavoro) «altri mesi<br />

che ci posso dedicare le giornate. Poi ci sono mesi e mesi che<br />

<strong>non</strong> mi viene niente da scrivere». «Quindi <strong>non</strong> ha l’abitudine di<br />

scrivere tutti i giorni, magari in certe ore?». «Mi capita di scrivere<br />

la mattina presto, perché per costituzione sono uno che si<br />

sveglia presto. Ma altrettanto spesso mi capita di scrivere fino a<br />

notte tardi». «E quando scrive, come si organizza?». «Be’, mi<br />

metto lì e scrivo». «Ascolta musica? Beve caffè? Fuma?». «Ma<br />

no», dico, «quando scrivo, scrivo. Mi ci concentro». «E scrive su<br />

carta? Su fogli sciolti? Su quaderni? Con la penna? Con la matita?».<br />

«Scrivo con il personal computer». «Sempre? Anche le<br />

prime stesure?». «Senta: mi sono seduto per la prima volta davanti<br />

a un pc nel 1977, quando avevo 17 anni. Era un Apple I-<br />

Ie. Ho posseduto un Commodore 64, un Amstraad 1024, un<br />

Olidata formato lavatrice, un paio di assemblati a<strong>non</strong>imi, e<br />

adesso finalmente ho un portatile. Nel 1982 ho cominciato a<br />

lavorare in un ufficio stampa, dove per prima cosa mi hanno<br />

messo davanti a un terminale; e tre anni dopo siamo passati alla<br />

rete di personal, gli OS/2 dell’Ibm. In somma, ho attraversata<br />

un po’ tutta la storia della scrittura al pc, con qualche incursione<br />

nel mondo Apple. Per me la tastiera è il mezzo più naturale per<br />

scrivere».<br />

Sento che la giornalista è perplessa. «Ho detto qualcosa che<br />

<strong>non</strong> va?», domando. «No», dice, e aggiunge: «Allora lei adesso,<br />

col portatile, scrive un po’ dove le capita». «Ma, sì, mi ci sto<br />

abituando; è chiaro però che a casa mia lavoro meglio». «In che<br />

stanza scrive?». «Ho uno studiolo incasinatissimo». «Generi di<br />

conforto?». «Nessuno». «Non sente la nostalgia della carta, della<br />

penna che corre sulla carta?». «No». Altro silenzio della giornalista.<br />

Riattacco: «Guardi, se c’è un’esperienza poco mistica, per<br />

me, è proprio quella dello scrivere e del leggere. Viaggio parecchio,<br />

sempre in treno, e così il treno è diventato la mia sala di<br />

lettura. E può essere sala di scrittura». «Vuol dire che per lei il

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