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GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE

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un’informazione, ogni volta che decide che cosa mettere o <strong>non</strong><br />

mettere in pagina, che cosa scrivere o <strong>non</strong> scrivere nel pezzo, egli<br />

deve senza sosta «invigilare sé stesso» (rubo la formula a Benedetto<br />

Croce), porsi in grado di garantire prima appunto a sé stesso, e poi a<br />

tutti i suoi lettori, di avere agito e scritto come uomo libero, <strong>non</strong> influenzato<br />

nemmeno inconsapevolmente, uomo autonomo sia materialmente<br />

sia spiritualmente.<br />

A chiunque voglia scrivere romanzi e racconti, io consiglierei la<br />

lettura di questo libro. Che il lavoro del narratore sia tutt’altra cosa<br />

dal lavoro del cronista, questo si può concedere. Ma ho il sospetto<br />

che la responsabilità del narratore verso i propri lettori sia simile alla<br />

responsabilità del cronista verso i propri lettori. Certo: il narratore<br />

narra fatti inventati, il cronista riferisce fatti accaduti. Ma il lettore si<br />

aspetta dal narratore una parola di verità, oltre la finzione e (paradossalmente:<br />

ma è così) per mezzo di essa; così come il lettore del<br />

giornale si aspetta dal cronista che gli racconti una cosa avvenuta<br />

così come è avvenuta, così come è stato possibile, adoperandosi al<br />

proprio meglio, scoprire che è avvenuta.<br />

Saranno diverse qualità di «parola di verità»; <strong>non</strong> discuto; sarà anche<br />

diversa l’attenzione che il lettore pone al giornale o al libro; <strong>non</strong><br />

discuto; ma se i narratori si arrogano la capacità (spesso lo fanno) di<br />

raccontare verità di un ordine superiore a quello della banale cronaca,<br />

la loro responsabilità sarà pure di un ordine superiore. O no?<br />

145<br />

Chiacchierata numero 91<br />

Libri che insegnano a scrivere, 12. Oggi vi parlo di un libro pressoché<br />

introvabile. «Ma se è introvabile», direte voi, «perché mai ce<br />

ne parli?». Come libro, <strong>non</strong> è neanche niente di speciale. «Ma se<br />

<strong>non</strong> è un niente di speciale», direte voi, «perché ce ne parli?<br />

Perché <strong>non</strong> ci parli, piuttosto, di qualche libro veramente importante<br />

- e, magari, che si riesca anche a trovare in libreria o in<br />

biblioteca?».<br />

Rispondo: perché mi piace tormentarvi, cari miei, e perché il<br />

mio vero scopo <strong>non</strong> è farvi leggere questo o quel libro: quanto<br />

persuadervi che di libri che insegnano a scrivere ce n’è un sacco,<br />

e di generi e specie che voi nemmeno vi immaginavate.<br />

Bene. Il libro è questo: Renato Cesari, Il libro dei discorsi, Salani<br />

1928 (pp. 420). L’ho comperato per due soldi, ovviamente<br />

usato, a una festa del libro a Como.<br />

Il signor Cesari è molto chiaro nei suoi intenti. Scrive nella<br />

prefazione: «Non tutti possono essere oratori, ma quasi tutti<br />

possono diventarlo. Molti sentono agitarsi nel cuore i più generosi<br />

sentimenti, nella mente affollarsi le più belle idee, ma <strong>non</strong><br />

trovano la parola adatta ad esprimerli comunicandone agli altri<br />

il calore e la forza persuasiva. D’altra parte a tutti può capitare<br />

di dover parlare e a nessuno piace o dichiarare la propria incapacità<br />

rifiutandosi, o far meschine figure accettando. Ebbene,<br />

con questo libro, compilato con delicato senso di opportunità, e<br />

frutto in gran parte di personale esperienza, abbiamo voluto offrire<br />

a tutti il mezzo di sottrarsi all’imbarazzante dilemma soddisfacendo<br />

con onore a questa necessità della vita moderna: il<br />

parlare in pubblico. Ma soprattutto abbiamo voluto soccorrere<br />

coloro ai quali la loro condizione sociale consente meno che ad<br />

altri di dedicar tempo e fatica allo studio e alla preparazione. Il<br />

nostro libro, utile a tutti, è per questi indispensabile» (p. 5). Seguono<br />

alcune veloci indicazioni (una paginetta e via) su come

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