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GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE

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provvisa, si produce lì per lì, si fa e si disfa, nella narrazione scritta<br />

dev’essere perfettamente calcolato.<br />

Questo perfetto calcolo è il lavoro dell’immaginazione.<br />

***<br />

Immaginare significa, prima di tutto, immaginare il lettore. Quando<br />

noi parliamo − <strong>non</strong> solo per raccontare, ma anche nella conversazione,<br />

in una lezione, in un tentativo di vendita, in un bisticcio, in<br />

una dichiarazione d’amore, in una trattativa − abbiamo sempre ben<br />

presente, davanti a noi, l’interlocutore. Regoliamo sull’interlocutore<br />

il nostro tono di voce, la scelta delle parole, il giro delle frasi, le cose<br />

che diciamo e quelle che omettiamo, le formule di cortesia, gli eufemismi,<br />

le scorciature e le spiegazioni in dettaglio, i riassunti e le divagazioni.<br />

Guardiamo chi ci sta di fronte, ne interpretiamo le reazioni,<br />

ascoltiamo i suoi interventi, spiamo la sua faccia: letteralmente<br />

cuciamo addosso all’interlocutore il nostro discorso o la nostra narrazione.<br />

Quando raccontiamo per iscritto, cioè facciamo una narrazione fissata<br />

e isolata, <strong>non</strong> c’è niente di tutto questo. Il lettore, ce lo dobbiamo<br />

immaginare. Non nel senso che dobbiamo immaginarci un lettore<br />

maschio, femmina, colto, incolto, amante dei classici o della letteratura<br />

dozzinale, esperto o inesperto, eccetera; o meglio: sì, ci immagineremo<br />

anche tutto questo − ne parleremo, ne parleremo − ma<br />

prima di tutto dobbiamo immaginarci il lettore come un qualcuno<br />

che segue la storia, vorrebbe intervenire, fare domande, contraddirci,<br />

dubitare; e come un qualcuno che si appassiona, si diverte, si<br />

emoziona, ride, piange, si stanca, si stufa.<br />

Mentre scriviamo e raccontiamo dovremmo sentire il lettore. Soprattutto<br />

dovremmo sentire i suoi tempi. A volte diciamo, di un romanzo<br />

o di una commedia o di un film, che è troppo lungo o troppo<br />

corto, che <strong>non</strong> ha ritmo, che sembrano mancargli delle cose, che<br />

ci si perde nella narrazione. Bene: quando diciamo questo, stiamo<br />

6<br />

dicendo che, secondo noi, il romanziere o il drammaturgo o il<br />

cineasta <strong>non</strong> hanno saputo governare bene i tempi della narrazione.<br />

Cioè che <strong>non</strong> sono stati capaci di sentire il lettore.<br />

Il lettore, peraltro, siamo noi. E così vi assegno il primo esercizio<br />

di questo corso di scrittura e narrazione a puntate: provate<br />

a osservarvi mentre leggete, mentre assistete a una commedia o<br />

guardate un film. Non c’è altro modo di imparare a immaginare<br />

il lettore, che provare a sentire noi stessi mentre siamo lettori. Per<br />

questo si dice: «Se vuoi scrivere, devi leggere». Perché noi siamo<br />

prima di tutto lettori, perché scriviamo in quanto abbiamo letto,<br />

abbiamo fatta l’esperienza del leggere.<br />

Una narrazione è, in fondo, una specie di lunga lettera inviata<br />

a uno sconosciuto. Così come, nello scrivere una lettera alla<br />

persona che più amiamo, metteremmo moltissimo impegno<br />

nell’immaginare la reazione di questa persona a ogni nostra singola<br />

parola, similmente nel narrare dovremo mettere moltissimo<br />

impegno nell’immaginare la reazione a ogni nostra singola<br />

parola della persona che più amiamo: il nostro lettore, la nostra<br />

lettrice.<br />

Perché, in effetti, <strong>non</strong> si scrive mica per sé stessi; così come<br />

<strong>non</strong> ci si ama da sé. Si scrive per un’altra persona, molto più<br />

importante di noi; così come la persona che amiamo è molto<br />

più importante di noi. Ci risentiamo la settimana prossima.<br />

Chiacchierata numero 4<br />

Buongiorno. La situazione è questa: avete il desiderio di raccontare<br />

una certa cosa. Siete lì, pronti. Il tutto vi sembra abbastanza<br />

chiaro. Potreste dire, colpendovi la fronte con un dito, le<br />

parole fatidiche: «La storia ce l’ho tutta qui, nella mia testa; si<br />

tratta solo di scriverla». Bene. Questo, ci crediate o no, è il momento<br />

buono per astenervi dallo scriverla.

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