GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE
GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE
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un passaggio è troppo lungo o troppo corto; o se manca un passaggio<br />
essenziale; o se è presente un passaggio inessenziale. In sostanza,<br />
concludeva Umberto Eco (ma qui sto usando parole mie, diverse<br />
dalle sue, che erano molto tecniche) una buona narrazione è fatta di<br />
elisioni e di allusioni ben funzionanti. Tutto ciò che per lo spettatore<br />
(o per il lettore: è uguale) è assolutamente ovvio, oppure ricostruibile<br />
a posteriori, può essere tranquillamente omesso: anzi, deve essere<br />
omesso, a meno che <strong>non</strong> si voglia costruire una narrazione specificamente<br />
puntata sugli avvenimenti ovvii, trascurabili, insignificanti.<br />
Nel qual caso, forse si potrà fare una buona narrazione, probabilmente<br />
si farà una narrazione assai difficile da leggere (sia chiaro:<br />
nessuno è tenuto a scrivere narrazioni facili da leggere; qui stiamo<br />
facendo dei discorsi attorno alle narrazioni per così dire “medie”).<br />
Allora: il punto sta proprio nell’imparare a selezionare efficacemente<br />
gli avvenimenti da rappresentare, e nel saper valutare la capacità<br />
del lettore (o dello spettatore) di riempire i vuoti che lasciamo nella<br />
narrazione. Come si impara questo? In un solo modo: leggendo narrazioni<br />
che ci sembrino buone, e osservando in quali modi il narratore<br />
che ci piace seleziona e monta gli avvenimenti. Proviamo,<br />
mentre leggiamo, a tenere d’occhio i vuoti della narrazione. Osserviamo<br />
come il narratore, narrandoci l’avvenimento A e<br />
l’avvenimento C, induca noi lettori a immaginare, tra A e C,<br />
l’avvenimento B che <strong>non</strong> viene raccontato. Osserviamo come il narratore<br />
continuamente alluda a cose che bene o male conosciamo, e<br />
come questo suo far ricorso alle nostre competenze gli permetta di correre<br />
via spedito, senza fermarsi continuamente a precisare questo e<br />
quello. Osserviamo, soprattutto, <strong>non</strong> tanto quello che il narratore fa,<br />
quanto quello che facciamo noi lettori. Siamo noi che abbiamo in<br />
mente il filo della narrazione, che connettiamo tutto ciò che leggiamo<br />
per mezzo di questo filo, che riempiamo i vuoti, che interpretiamo<br />
tutto ciò che avviene nel testo sotto i nostri occhi (o sullo<br />
schermo davanti ai nostri occhi) come se facesse parte di un’azione<br />
unitaria, e <strong>non</strong> come se fosse una sequenza di avvenimenti slegati.<br />
59<br />
È dal nostro comportamento come lettori, in somma, che impariamo<br />
come dobbiamo comportarci come narratori.<br />
***<br />
Naturalmente ogni narrazione ha un modo tutto suo di elidere<br />
(cioè di <strong>non</strong> raccontare certe cose) e di alludere (cioè di raccontare<br />
certe cose per sommi, sommissimi capi). Ma tutti questi<br />
modi diversi sfruttano lo stesso fatto: che il lettore mentre legge<br />
(o lo spettatore mentre guarda), automaticamente integra la narrazione<br />
e ne prevede gli svolgimenti.<br />
Nel film The others c’è una scena curiosa. Nicole Kidman vive<br />
in una casa che sembra infestata da fantasmi (a fine film si capirà<br />
che <strong>non</strong> è così; ma questo <strong>non</strong> è importante per l’esempio<br />
che voglio fare; e <strong>non</strong> so nemmeno se la scena fosse proprio<br />
così, magari <strong>non</strong> la ricordo esattamente; ma neanche questo è<br />
importante). A un certo punto, nella casa si sente un suono di<br />
pianoforte. Kidman corre alla stanza del pianoforte, ne spalanca<br />
la porta, e: nella stanza <strong>non</strong> c’è nessuno, e immediatamente il<br />
suono del pianoforte tace. Kidman esce dalla stanza; la porta si<br />
chiude da sola e la musica riprende. Kidman cerca di riaprire la<br />
porta, ma questa <strong>non</strong> si apre. Tira e spingi, tira e spingi, la porta<br />
<strong>non</strong> si apre; finché Kidman <strong>non</strong> abbandona la presa e rimane lì,<br />
con aria impotente, difronte alla porta chiusa.<br />
Io, sprofondato nella mia poltrona, pensai rapidissimamente:<br />
“Sì; è come nei film di Buster Keaton; ora la porta si aprirà di<br />
colpo e sbatterà sul naso di Kidman”. In quell’istante la porta si<br />
aprì di colpo e sbatte sul naso di Kidman, mandandola lunga<br />
distesa per terra. L’intero cinema sobbalzò per lo spavento. Io<br />
mi feci scappare una lunga risata solista.<br />
Cos’era successo? Semplice: io, per puro caso o grazie alla mia<br />
abitudine a lavorare su narrazioni, ero stato capace di prevedere<br />
l’avvenimento; di conseguenza, quando l’avvenimento si realiz-