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GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE

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commercio; se <strong>non</strong> lo trovate in libreria, provate a ordinarlo. Io, che<br />

credevo di averlo ma <strong>non</strong> me lo trovavo più in casa (sapete, sono<br />

uno di quello che presta i libri), l’ho ordinato e mi è arrivato in due<br />

settimane.<br />

Il Manuale di poesia è diviso in due parti. La prima parla<br />

dell’ispirazione; la seconda, della tecnica della scrittura poetica. Di<br />

solito, nei manuali di scrittura, si dà per scontato che l’ispirazione sia<br />

una cosa della quale è imbarazzante parlare; una cosa, per dirla tutta,<br />

che <strong>non</strong> si sa bene di che specie sia e nemmeno se esista davvero;<br />

una cosa che, comunque, o c’è o <strong>non</strong> c’è, o ce l’hai o <strong>non</strong> ce l’hai; e<br />

c’è poco da girarci attorno. Quindi, di solito, i manuali di scrittura<br />

liquidano la faccenda dell’ispirazione in poche righe, con espressioni<br />

del tipo: «È evidente che l’ispirazione <strong>non</strong> si può insegnare», oppure:<br />

«Come diceva Nonsochì, l’arte è per il 5% ispirazione e per il 95%<br />

traspirazione», ossia lavoro e sudore; eccetera. Giuseppe Conte no:<br />

delle 140 pagine del suo libro, 64 sono dedicate all’ispirazione.<br />

Bene. E che cosa dice, dell’ispirazione, Giuseppe Conte?<br />

Più che la parola «ispirazione», Conte adopera la parola: «Voci». E<br />

dice: «Le Voci che spingono a scrivere poesia ci raggiungono da <strong>non</strong><br />

sappiamo dove. È difficile capire se arrivino da lontananze misteriose,<br />

e ci entrino dentro come punte di frecce, o se stiano addormentate<br />

nella zona oscura della nostra anima. […] Quello che importa è<br />

che le Voci parlino e che noi sappiamo innanzitutto ascoltarle. Se<br />

<strong>non</strong> crediamo che le cose apparentemente inanimate o mute possano<br />

parlarci, difficilmente ci accingeremo al lavoro della poesia. Voci<br />

possono essere […] quelle delle stelle […]. Voci quelle dei fiori. […]<br />

Voci quelle dell’amore più puro ma anche dell’amore più violento e<br />

brutale. Voci quelle dell’odio, del corrompimento, dell’assenza e<br />

della presenza di Dio o degli dèi. Scriviamo spinti da queste Voci, da<br />

Tumulti, Domande, Stati di alterazione dell’Anima, da Visioni che le<br />

Voci contribuiscono a far balenare in noi» (pp. 16-17).<br />

Conte sa benissimo che parlando di Voci (e di tutte quelle altre cose<br />

con l’iniziale maiuscola), e poche pagine dopo addirittura delle<br />

129<br />

Muse, fa un discorso decisamente inattuale. E allora intitola apposta<br />

un paragrafo: «Dove incontrare le Muse oggi» (p. 18).<br />

Dove, dunque? Nei «più desolati sobborghi» o nella «più silenziosa<br />

biblioteca», o nel «teatro più fastoso», tra le collezioni<br />

d’arte «più raffinate». Praticamente ovunque, sembra di capire,<br />

purché si tratti di un luogo «più»: un «sobborgo desolato» o un<br />

«teatro fastoso» <strong>non</strong> bastano, ci vogliono un «sobborgo più desolato»<br />

o un «teatro più fastoso».<br />

Badate, <strong>non</strong> sto prendendo in giro Giuseppe Conte. Questi<br />

suoi «più» sono probabilmente la spia di una percezione estetizzante<br />

della vita. Bene, Giuseppe Conte ci sta dicendo che per<br />

scrivere poesia bisogna avere una percezione estetizzante della<br />

vita; o, almeno, che per riuscire a sentire le Voci bisogna avere il<br />

coraggio di abbandonarsi, di tanto in tanto, a una percezione<br />

estetizzante della vita. (Che la percezione estetizzante della vita<br />

abbia le sue perversioni e il suo kitsch, Conte lo sa benissimo; e<br />

gli pare così ovvio che queste perversioni e questo kitsch siano<br />

tutt’altra cosa da ciò di cui sta parlando, che <strong>non</strong> spende neanche<br />

una riga a segnare la differenza).<br />

Ma poiché un manuale è un manuale, ecco che Conte fa una<br />

cosa stupefacente: ci dà addirittura, in undici brevi paragrafi,<br />

«Undici suggerimenti» per riuscire ad ascoltare le Voci. Èccoli:<br />

(pp. 23-29): «Aprire varchi nel muro compatto della realtà.<br />

Guardare le cose sempre con meraviglia. Accettare la solitudine.<br />

Praticare la buona conversazione. Leggere ad alta voce poesia.<br />

Essere liberi da ogni pregiudizio morale e ideologico. Benedire<br />

le passioni. Avere il gusto degli estremi. Accettare il vuoto.<br />

Camminare. Aprirsi all’infinito».<br />

La poesia dunque per Conte <strong>non</strong> è una “materia”, bensì una<br />

“disciplina”. Le sue undici formule possono essere, credo, riassunte<br />

in una sola, abbastanza zen: «Sii disponibile». Se sarai disponibile,<br />

forse le Voci ti parleranno. Se <strong>non</strong> sarai disponibile,<br />

sicuramente le Voci <strong>non</strong> ti parleranno. Tutto qui.

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