GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE
GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE
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scritto. Ma anche una barzelletta o la più semplice delle favole, <strong>non</strong><br />
appena le prestiamo attenzione, rivelano profondità insondabili.<br />
E allora? Allora, secondo me è bene cercare comunque di pensare<br />
olisticamente a ciò che andiamo scrivendo. Ora dico delle banalità.<br />
Sarebbe bello se, in ogni narrazione, la forma soggiacente a ogni singola<br />
frase, a ogni scelta di lessico, a ogni segno di punteggiatura, a<br />
ogni svolta dell’azione, a ogni battuta di dialogo, a ogni spazio bianco<br />
interposto tra uno e l’altro episodio ecc. - fosse sempre la stessa<br />
forma, e fosse pure la stessa forma generale di tutta la narrazione. È<br />
evidente che un simile grado di controllo è pressoché impossibile.<br />
Ma si può provarci, tendere a, andare verso. Molte grandi opere sono<br />
onorevoli tentativi, falliti.<br />
***<br />
Io scrivo la mia narrazione dal principio alla fine; ma continuamente,<br />
mentre progredisco, torno indietro, cambio, aggiusto, tolgo,<br />
rifaccio, sposto; e quando bene ho finito torno a lavorare sul tutto, e<br />
lavoro sulla mia narrazione come se fosse un oggetto; ne faccio degli<br />
schemi che osservo come osserverei una piantina topografica; modifico<br />
il “peso” di fatti, parole, azioni, pause ecc. come se dovessi far<br />
raggiungere lo stato di equilibrio a una bilancia con <strong>non</strong> due soli, ma<br />
con duecento piatti.<br />
Ma il lettore che legge, <strong>non</strong> fa mica così. Il lettore che legge parte<br />
veramente dal principio e arriva veramente fino alla fine (se la mia narrazione<br />
<strong>non</strong> gli fa schifo). Per me che l’ho scritta la narrazione è un<br />
oggetto, una topografia, una stanza piena di bilance; per il lettore<br />
che la legge la narrazione è un cammino, un filo, un «avvenne questo…<br />
e poi questo… e poi questo…». Anche qualora io racconti più<br />
storie intrecciate, o riempia la narrazione di flash-back, o dissemini i<br />
fatti nel disordine più assoluto, comunque per il lettore c’è dapprima<br />
pagina uno, poi pagina due, poi pagina tre… In fondo I fratelli Kara-<br />
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mazov, come tanti romanzi dell’Ottocento, è stato pubblicato<br />
dapprima a puntate nei giornali, e solo dopo raccolto in volume.<br />
Allora dobbiamo rassegnarci: per il lettore, la narrazione come<br />
«totalità organizzata» è spesso impercepibile. O ne ha, al massimo,<br />
una percezione inconsapevole, una specie di “ombra<br />
d’intuizione”. Quando andiamo al cinema, e ne usciamo insoddisfatti<br />
del film ma senza saper dire perché ne siamo insoddisfatti,<br />
forse stiamo intuendo qualche falla nella «totalità organizzata»<br />
del film. La differenza tra il lettore comune (o lo spettatore<br />
comune) e il critico letterario (o cinematografico) è spesso<br />
qui: nella capacità di percepire la narrazione o il film come<br />
«totalità organizzata».<br />
In somma: vi sto invitando a tentar di pensare le vostre narrazioni<br />
come «totalità organizzate»; vi avviso che è una cosa difficilissima;<br />
e, per confortarvi, vi dico che comunque, della «qualità<br />
organizzativa» della vostra «totalità», se ne accorgeranno<br />
quattro gatti, al massimo qualche parruccone di critico. Bene, è<br />
proprio così. E allora, santo cielo, perché farlo?<br />
Semplicemente perché l’unica differenza che io sia riuscito a<br />
percepire, in vita mia, tra chi «è uno scrittore» e chi «<strong>non</strong> è uno<br />
scrittore», riguarda la qualità dell’investimento personale nella<br />
scrittura. E l’investimento personale nella scrittura (la «dedizione»,<br />
potrei dire) <strong>non</strong> è qualcosa che possa essere incrementato<br />
discretamente; a un certo punto c’è un salto, e questo salto c’è<br />
chi lo fa e chi <strong>non</strong> lo fa. Il salto è: tentar di pensare alle narrazioni<br />
come a «totalità organizzate», oppure <strong>non</strong> farlo; e chi lo<br />
fa, cioè chi «è uno scrittore», in quel momento smette di essere<br />
una persona normale. Non voglio dire che diventi pazzo o asociale;<br />
no, smette di essere una persona normale e, ad esempio, si<br />
concede uno smisurato egocentrismo; ossia, esclude dalla sua<br />
mente qualunque pensiero che <strong>non</strong> concerna il pensare la sua<br />
narrazione come «totalità organizzata».