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GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE

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alcuni capitoli di raccordo che possono essere meno potenti rispetto<br />

al resto del libro, ma necessari».<br />

Proprio stamattina, mentre viaggiavo in treno da Milano a Padova,<br />

in un recente manuale universitario (Franco Brioschi, Costanzo di<br />

Girolamo, Massimo Fusillo, Introduzione alla letteratura, Carocci) leggevo<br />

quasi la stessa cosa, ma a rovescio (cioè dal punto di vista del<br />

lettore): «La differenza principale tra lungo e breve consiste probabilmente<br />

nel fatto che, nel genere breve, il lettore o l’ascoltatore ha<br />

la possibilità di un controllo mnemonico totale o pressoché totale degli<br />

elementi narrativi presentati, mentre questo <strong>non</strong> può avvenire nella<br />

stessa misura in una narrazione lunga come un romanzo. Ma c’è anche<br />

una differenza di modalità di ricezione: un racconto può essere<br />

letto o ascoltato in una volta, mentre la lettura o l’ascolto di un romanzo<br />

presuppone normalmente, per la sua estensione, delle pause»<br />

(p. 139).<br />

Non mi interessa, ora, qui, mettermi a discutere della differenza tra<br />

racconto e romanzo (tra l’altro io, a differenza di Tiziano Scarpa, so<br />

scrivere solo racconti; quindi sullo scrivere romanzi <strong>non</strong> ho alcuna<br />

competenza diretta). M’interessa mettervi sotto gli occhi questo<br />

semplice fatto: nel comporre una narrazione, lunga o breve che sia,<br />

tener conto del tempo (del proprio tempo di scrittura, del tempo di<br />

lettura), dell’attenzione (della propria attenzione, e di quella del lettore),<br />

della possibilità materiale (propria, e del lettore) di tenere tutto<br />

il materiale narrativo sempre presente.<br />

Se io, nel comporre, faccio fatica a tenere sotto controllo tutto il<br />

materiale, a ricordare con precisione tutto ciò che faccio avvenire, a<br />

far durare le “sessioni di scrittura” abbastanza a lungo da scrivere<br />

ogni volta una porzione significativa della mia narrazione, mi conviene<br />

pensare che esattamente gli stessi problemi, probabilmente, li<br />

avrà anche il lettore.<br />

Ieri sena, a cena con persone gentilissime, si discuteva un po’ sul<br />

serio e un po’ scherzando, su quanto tempo ci voglia a leggere un<br />

romanzo di ottocento pagine. Chi diceva sedici ore, chi diceva dieci.<br />

40<br />

E qualcuno ha detto: «Eh, era bello quando si era ragazzi, che si<br />

aveva il tempo di mettersi lì magari due giorni interi, da mattina<br />

a sera, e far fuori certi volumoni…». Sono convinto che certe<br />

letture di grossi libri fatte da ragazzo, che mi sono rimaste impresse<br />

indelebilmente, mi siano rimaste impresse indelebilmente<br />

appunto perché potevo permettermi lunghissime sessioni di<br />

lettura. Ricordo di aver letto Guerra e pace in neanche due settimane.<br />

Vabbè, avevo quattordici anni, ci capivo da qua fin là:<br />

però la storia, almeno quella, e certe situazioni (la morte del<br />

principe Andrej!) me le ricordo come se avessi chiuso il libro<br />

cinque minuti fa. Per leggere Alla ricerca del tempo perduto ci ho<br />

messo da novembre 2002 a febbraio 2003: sono più pagine di<br />

Guerra e pace, certo, ma una lettura diluita in quattro mesi, d’un<br />

libro peraltro che ha singole scene della durata anche di trecento<br />

pagine, è una lettura veramente malfatta.<br />

E allora? Dicevo: mentre scrivo la mia narrazione devo pensare,<br />

una volta di più, a chi la leggerà, e a come la leggerà. Ieri, in<br />

casa editrice, discutevo con Giorgio un suo testo che pubblicheremo<br />

all’inizio del 2004: è un libro di racconti (anche se sono<br />

racconti per modo di dire: si potrebbe chiamarli «brani di<br />

testo descrittivi del mondo» e, bruttezza della formula a parte, si<br />

sarebbe più precisi) tutti centrati su un numero ristretto di ambienti<br />

situazioni tipologie di personaggi, ma variabilissimi nella<br />

forma, che lui nel suo dattiloscritto ha impaginati come se fossero<br />

paragrafi di un romanzo. Ci siamo trovati a discutere<br />

l’opportunità di questa scelta (sulla quale, a dire il vero, lui <strong>non</strong><br />

aveva meditato più che tanto). Ci piaceva l’idea che tutti questi<br />

racconti molto legati tra loro fossero sulla pagina quasi una<br />

“colata” d’inchiostro (e di narrazione); d’altra parte ci pareva<br />

che fosse il caso di inserire, qua e là, quasi delle “pause caffè”<br />

per il lettore, dei possibili luoghi di sosta durante la lettura. Altrimenti,<br />

ci siamo detti, rischiamo di ammazzarlo, questo povero<br />

lettore.

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