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GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE

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importa se inventate, vere, realistiche, surreali - in grado di spremere<br />

la vita, di metterla sotto torchio?».<br />

In alcune delle reazioni di lettori che riportavo, compariva la parola:<br />

onestà. Ma che cos’è l’onestà per un narratore? (A parte<br />

l’ovvio: <strong>non</strong> passare col rosso, pagare giuste le tasse, <strong>non</strong> rapinare i<br />

supermercati, <strong>non</strong> spillare soldi agli assessorati in cambio di sinecure<br />

ecc.). Il lettore/scrittore che si firmava Demetrio, ad esempio, la definiva<br />

così: «Organizzare una storia che abbia una voce che sia sentita<br />

reale da parte di chi ci legge».<br />

Ragioniamo: una voce; che sia sentita reale; da parte di chi legge.<br />

Demetrio <strong>non</strong> dice: una voce che racconti una storia reale, una storia<br />

vera. Dice: una voce che sia sentita reale. Conta la «realtà» della<br />

voce, <strong>non</strong> delle cose raccontate. Le cose raccontate potranno essere<br />

invenzione pura; la voce <strong>non</strong> deve essere contraffatta. Può sembrare<br />

un paradosso. Io, che sono capace di dire la verità e di mentire senza<br />

la minima differenza nella voce, ho il sospetto che sia davvero un<br />

paradosso.<br />

Tuttavia, a proposito di «realtà», un altro lettore, che si firmava<br />

Mario Zero, diceva: «La letteratura è l’opposto della realtà. Nella<br />

realtà, soprattutto in quella sociale, tutto appare confuso, insensato,<br />

mentre nell’arte le parole formano una bellezza, un senso, ed è per<br />

questo che le amiamo». E mi viene il dubbio che Mario Zero, in<br />

questa forma apodittica, esprima un desiderio che è il contrario di<br />

quello espresso da Demetrio; come se Mario Zero dicesse: voglio<br />

una voce che <strong>non</strong> sia confusa e insensata, una voce opposta alla<br />

realtà. Forzando: una voce irreale.<br />

Ma un altro lettore, che si firmava con il nome di Ardito Piccardi,<br />

sacerdote protagonista del romanzo di Carlo Coccioli Il cielo e la terra,<br />

tagliava corto e diceva: «Se uno scrittore dà il sangue, quello è uno<br />

scrittore». E mi par di capire che il «dare il sangue» sarebbe appunto<br />

il segno dell’onestà. Un’onestà radicale: che <strong>non</strong> si definisce, direi,<br />

nel rispetto per gli altri; ma piuttosto nel rispetto per sé stessi quali<br />

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creature e immagini di dio. Mi viene il dubbio che la parola<br />

«santità» potrebbe, a questo punto, sostituire la parola «onestà».<br />

Dunque? Che strane richieste rivolgono i lettori agli autori, mi<br />

viene da pensare ogni volta che leggo cose del genere. Che strane<br />

richieste. Mi si chiede di essere onesto. Ma il romanzo <strong>non</strong> è<br />

per statuto una finzione? E se fingo una storia, <strong>non</strong> potrò fingere<br />

una voce? L’esperienza della scrittura mi dice: niente è più<br />

divertente che fingere una voce che suoni autentica; e niente è<br />

più istruttivo (per chi scrive e per chi legge) che fingere una voce<br />

che suoni autentica (ossia: niente è più istruttivo che tentare,<br />

provvisoriamente e per finta, di essere un altro); e poche cose sono<br />

difficili come fingere una voce che suoni autentica. Potrei<br />

metterla così: sono disponibile ad accettare l’onestà come un<br />

impegno verso il lettore. Ma vorrei tanto sapere come fa, un<br />

lettore, a decidere se la mia voce è «reale» o no.<br />

Mi si chiede di <strong>non</strong> ripetere la realtà, e di fornire piuttosto<br />

qualcosa che sia dotato di «bellezza» e «senso». Il presupposto è<br />

che la «realtà» sia brutta e insensata. Ma allora sembra che ci sia<br />

un mondo reale di qua, valle di lacrime nella quale siamo costretti<br />

a vivere, e un mondo dell’arte di là, luogo di bellezza e di<br />

senso. E io vado in bestia. Perché se questo mondo è una valle<br />

di lacrime, io vorrei farlo diventare luogo di bellezza e di senso.<br />

Se scrivendo produco una bellezza e un senso che <strong>non</strong> si trovano<br />

nel mondo, mi sento come un profeta: uno che vede ciò che<br />

potrebbe essere. Ma ho imparato che i profeti <strong>non</strong> sono coloro<br />

che vedono (in anticipo) ciò che <strong>non</strong> è ancora; sono piuttosto<br />

coloro che vedono (qui, ora) ciò che è sotto gli occhi tutti e<br />

sfugge agli occhi di tutti.<br />

E infine, a chi mi chiede di dare il sangue, mi viene quasi da<br />

dare un rispostaccia. Perché <strong>non</strong> so quante volte sono stato avvicinato<br />

da lettori e lettrici che mi dicevano: «Ti sono grato,<br />

perché vedo che in quel tal libro, in quel tale racconto, in quella<br />

tal pagina, veramente hai dato il sangue» (o: hai messa a nudo la

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