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GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE

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«Allora», ho detto. «Compiti per casa Provate a inventare qualche<br />

pezzo di questa storia, cercando di <strong>non</strong> introdurre elementi casuali.<br />

Potete anche manipolare la parte che ho detta io, <strong>non</strong> c’è problema».<br />

«A che cosa serve questo esercizio?», domanda un signore sui cinquanta.<br />

«Serve a dimostrarvi che <strong>non</strong> c’è niente da insegnarvi, a proposito<br />

di trame», dico. «Sapete già tutto. Basta fare un po’ di esercizio».<br />

«Non vale!», dice il tipo con i baffi.<br />

«Sia chiaro per tutti», dico: «Quest’aula è mia, e qui comando io».<br />

Ridiamo tutti.<br />

Ci sentiamo tra una settimana.<br />

Chiacchierata numero36<br />

Si parlava di trame. E dicevo: in fatto di trame, c’è poco da imparare.<br />

E <strong>non</strong> credo che si possa insegnare gran che. Si può provare,<br />

forse, a indicare qualche regola generale. Che peraltro vale quel che<br />

vale.<br />

Una trama deve avere un capo e una coda. Sembra una banalità, e in effetti<br />

lo è. Ci sono capolavori della narrativa mondiale che <strong>non</strong> hanno<br />

né capo né coda (Gargantua e Pantagruele di Rabelais, ad esempio; oppure<br />

Orlando di Virginia Woolf): ma certe cose, in confidenza, lasciamole<br />

fare a chi se le può permettere. Che una trama abbia un<br />

capo e una coda, significa in pratica questo: la situazione che si produce<br />

alla fine deve essere in una qualche relazione (narrativa, simbolica,<br />

allegorica, morale…) con la situazione dalla quale il racconto è<br />

partito. Se all’inizio abbiamo un giovinotto e una giovinotta che vogliono<br />

sposarsi, e un cattivone che lo vuole impedire, <strong>non</strong> possiamo<br />

avere alla fine i marziani che invadono la Patagonia. Tra le centinaia<br />

di dattiloscritti speranzosi di pubblicazione che leggo, i casi così sono<br />

dozzine.<br />

57<br />

Se quando si apre il sipario c’è un fucile da caccia appeso al muro, entro<br />

la fine della commedia quel fucile dovrà sparare. Questa massima me<br />

l’hanno venduta come cechoviana. Mi sembra una buona massima.<br />

Tutto ciò che entra nella narrazione deve avere una ragione<br />

per stare lì. Non necessariamente sarà una ragione solo o<br />

esclusivamente narrativa, cioè legata all’azione: un fucile può<br />

avere mille buone ragioni per essere appeso a un certo muro;<br />

l’importante è che queste ragioni siano comprensibili al lettore,<br />

e che siano legate a ciò che si sta raccontando. Ho appena finito<br />

di leggere un dattiloscritto <strong>non</strong> del tutto brutto, nel quale tutti i<br />

personaggi hanno riproduzioni di quadri di Matisse appese alle<br />

pareti di casa. Ho domandato all’autore: «Ma perché tutti questi<br />

Matisse?»; e lui ha risposto: «A me piace Matisse». Questa, spero<br />

sia chiaro, <strong>non</strong> è una buona ragione.<br />

Una trama vive di azioni raccontate al tempo presente o al passato remoto.<br />

Leggo continuamente romanzi, o pretesi tali, in cui gran<br />

parte degli avvenimenti è raccontata all’imperfetto. «A quei<br />

tempi Mario abitava a Quingentole ed era innamorato di Maria.<br />

Gironzolava davanti casa sua tutte le sere, trovava una scusa per<br />

attaccare bottone, le offriva un caffè al bar, casualmente si trovava<br />

nell’ufficio postale o dal droghiere quando lei doveva appunto<br />

spedire una raccomandata o comperare il detersivo». Una<br />

narrazione all’imperfetto <strong>non</strong> racconta mai un fatto preciso,<br />

determinato, unico; racconta avvenimenti ricorrenti; e <strong>non</strong> c’è<br />

niente di male a fare ricorso, di tanto in tanto, a queste<br />

“narrazioni condensate”: ma il regime dell’imperfetto <strong>non</strong> può<br />

essere dominante.<br />

Il tempo ha i suoi tempi. Le azioni hanno bisogno di tempo per<br />

avvenire. Umberto Eco, nelle «Postille» aggiunte, dalla prima<br />

edizione in poi, al Nome della rosa, dice di aver calcolato i tempi<br />

di certe conversazioni tenendo conto del fatto che esse avvengono<br />

durante spostamenti dei personaggi da una parte all’altra<br />

dell’Abbazia: spostamenti che richiedevano, secondo le distan-

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