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GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE

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ni traboccanti, costruendo storie che si vorrebbe vivere, volando<br />

con la fantasia. Io ritengo che la scrittura sia una forma di rigenerazione.<br />

Penso che lo scrittore, narrando una storia, realmente accaduta<br />

o tratta dalla fantasia, si incarni nei personaggi ritrovandosi a<br />

vivere un’altra vita, dal principio alla fine, con tutte le passioni e i<br />

sentimenti che sono celati nell’animo. Praticamente, a mio avviso,<br />

allo scrittore è concesso vivere una, due dieci, cento vite attraverso<br />

personaggi diversi, arrivando ad essere ciò che sarebbe voluto essere<br />

e <strong>non</strong> è stato, assaporando quasi la vita e le emozioni che avrebbe<br />

voluto provare e che <strong>non</strong> ha provato e <strong>non</strong> proverà mai. Ed alla fine<br />

della storia, sentirsi appagato, ed avere voglia di ricominciare nuovamente.<br />

Ciò è proprio di chi <strong>non</strong> si accontenta di vivere una sola<br />

vita».<br />

Gabriella dell’Aria scrive tra le altre cose: «Da un paio di anni scrivo,<br />

ho iniziato per mettermi alla prova, per vedere se riuscivo a creare<br />

una storia, a portarla avanti in modo coerente per un centinaio di<br />

pagine ed a concluderla, l’ho fatto. Ne ho iniziata un’altra. Esiste<br />

una profonda differenza tra ciò che ho scritto "dando il sangue" e<br />

quello che invece é stato elaborato freddamente dal cervello; nel<br />

primo caso si tratta di frasi brevi, essenziali, che fissano emozioni<br />

senza che chi le legga possa "sentirle", così <strong>non</strong> è per le seconde.<br />

Allora mi viene da chiedere: <strong>non</strong> è forse scrivendo con il massimo<br />

impegno intellettivo l’unico modo di "dare il sangue"? […] Mi domando<br />

che tipo di lettrice sono: <strong>non</strong> ho mai letto un romanzo chiedendomi<br />

quali pensieri attraversassero la mente di colui che, con la<br />

sua maestria, sta momentaneamente irretendo la mia, né prima, né<br />

durante né tantomeno dopo che avesse scritto, posso chiedermelo<br />

per una poesia, per un quadro, ma il romanzo credo nasca da un<br />

progetto più ampio e complesso che può essere molto diverso da<br />

quello che ognuno di noi percepisce leggendolo, in ciascuno tocca<br />

corde diverse».<br />

Mauro Mirci mi scrive una lunga e bella lettera, dalla quale estraggo<br />

solo le tre «risposte elementari» (una principale, e due di riserva)<br />

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conclusive: «Se scrivere è un’attività misteriosa, praticata da iniziati<br />

per il tramite di altrettanto misteriosi riti, allora solo chi ha<br />

partecipato - anche inconsapevolmente - a tali riti sarebbe legittimato<br />

a dirsi scrittore. Resterebbero esclusi gli altri, gli scriventi,<br />

capaci di scrivere, sì, ma <strong>non</strong> di trasmettere per il tramite della<br />

scrittura. Ma se è misteriosa l’attività, e sono misteriosi i riti, allora<br />

in base a quali discriminanti lo scrivente sarebbe in grado di<br />

percepire il proprio transito alle qualità di scrittore?<br />

«La mia prima risposta elementare. Non è possibile individuare<br />

tali discriminanti con sicurezza: trattandosi di attività misteriosa<br />

è impossibile determinarne i parametri fondamentali.<br />

«Risposte di riserva.<br />

«La mia seconda risposta elementare. La domanda è mal posta.<br />

Riformularla.<br />

«La mia terza risposta elementare. Abbiamo imparato<br />

l’alfabeto a scuola. Serve a comunicare. Trasmettere è un’altra<br />

cosa. Conosco molte persone che sono capaci di trasmettere in<br />

maniera incredibilmente efficace, e alcune di esse sono, o sono<br />

state, analfabete. Sono state perché morte, o perché hanno poi<br />

imparato a leggere, scrivere e far di conto. Non ti sei mai chiesto<br />

quali incredibili e misteriose qualità possegga un bimbo in fasce<br />

per trasmetterti i suoi bisogni? Trasmetterti, <strong>non</strong> solo comunicarti.<br />

Quando un bambino trasmette un bisogno <strong>non</strong> lo fa<br />

solo attraverso una forma di comunicazione (il pianto) ma anche<br />

ingenerando nel genitore ansia, paura, irrequietezza. Coinvolge,<br />

cioè, il suo interlocutore nella maniera più assoluta e intima.<br />

Non fa o stesso lo scrittore?».<br />

Non penso che lo scrivere sia una «attività misteriosa, praticata<br />

da iniziati». Sono convinto addirittura che solo chi riesce a<br />

pensare allo scrivere e al narrare senza percepire nessun mistero<br />

nello scrivere e nel narrare, anzi immaginandoselo come un<br />

fatto molto pratico, come una cosa che normalmente si fa, abbia<br />

la possibilità di fare uno scatto in avanti.

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