GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE
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la scrittura, la vita. «Lo stile e la scrittura, vabbè», dirà qualcuno, «ma<br />
la vita? Non è un po’ troppo, per un manuale sull’argomentazione,<br />
pretendere di migliorare la vita?». Ebbene, no, <strong>non</strong> è un po’ troppo; è<br />
semplicemente indispensabile. Poi vedremo perché.<br />
I pregi del libro sono: ordine, chiarezza, completezza<br />
nell’essenzialità, efficacia degli esercizi, umiltà, moralità. La teoria<br />
dell’argomentazione è una disciplina antichissima (il suo nome più<br />
nobile è «retorica»), che per molti secoli ha sofferto di elefantiasi<br />
della materia e di ipertecnicismo del linguaggio: Pennavaja riesce a<br />
esporla con ordine e chiarezza, sfrondando con intelligenza, introducendo<br />
i tecnicismi solo quando servono davvero.<br />
Un paio di esempi. Il capitolo «Le sei funzioni fondamentali della<br />
comunicazione verbale» (pp. 31-37) <strong>non</strong> comincia (diversamente da<br />
pressoché tutti gli altri manuali che conosco) con l’elenco e la definizione<br />
delle sei funzioni, bensì con una breve scena di dialogo in<br />
cui tutte le funzioni entrano in gioco; prosegue con la presentazione<br />
e spiegazione di alcuni termini indispensabili (contesto, messaggio,<br />
codice, canale) e con il davvero inevitabile schemino «Emittente-<br />
Messaggio-Destinatario»; torna alla scena di dialogo, la analizza e fa<br />
vedere le sei funzioni in azione; e si conclude con altri brevi esempi<br />
puntualizzanti. Pennavaja poi <strong>non</strong> chiama le sei funzioni <strong>non</strong> con i<br />
nomi in uso nei trattati di linguistica e di retorica, ma con nomi più<br />
intuitivi: la funzione «conativa» diventa così «persuasiva», la funzione<br />
«fàtica» diventa «di contatto» (i nomi tecnici, comunque, sono in<br />
nota).<br />
Altro esempio. C’è un capitolo sulle figure retoriche. Si intitola:<br />
«Gli effetti delle figure retoriche nel testo» (pp. 92-102). Pennavaja<br />
<strong>non</strong> si cura della natura delle figure retoriche, va diritta al sodo occupandosi<br />
degli effetti che il loro impiego produce sul lettore o<br />
ascoltatore del testo. Così tutto risulta molto più chiaro che nei tradizionali<br />
trattati di linguistica e di retorica, dove le figure sono di solito,<br />
ahimè, catalogate secondo la loro natura (figure di parola, di<br />
pensiero, di posizione, di sostituzione eccetera), indipendentemente<br />
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da ciò a cui servono: come se in un libro di cucina le ricette <strong>non</strong><br />
fossero ordinate secondo la funzione dei singoli piatti<br />
all’interno del pasto (antipasti, primi, secondi, contorni, dolci)<br />
ma secondo gli ingredienti necessari a confezionarli.<br />
Dicevo: questo è anche un libro umile. A pagina 28, ad esempio,<br />
Pennavaja cita in nota il Trattato dell’argomentazione di Chaϊm<br />
Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca («opera fondamentale, purtroppo<br />
talora di difficile lettura») e i Saggi di linguistica generale di<br />
Roman Jakobson, e dice: «Il mio testo si propone di esporre in<br />
modo semplice gran parte della teoria di Perelman, saldandola<br />
con il modello delle funzioni comunicative di Roman Jakobson.<br />
Ritengo infatti che attraverso questa saldatura cada finalmente<br />
la separazione fra retorica delle argomentazioni e retorica delle<br />
figure di stile». Pennavaja presenta il suo lavoro, in somma,<br />
quasi come se fosse un "bignami"; in realtà la materia del Trattato<br />
di Perelman (che è davvero fondamentale ed è davvero di<br />
difficile lettura; ne parlerò prossimamente) è nel libro di Pennavaja<br />
completamente riorganizzata; e la «saldatura con il modello<br />
delle funzioni comunicative» è un’innovazione, quantomeno a<br />
livello didattico, <strong>non</strong> da poco.<br />
Dicevo infine che Il gioco dell’argomentare è anche un libro morale.<br />
Sempre a pagina 28 leggiamo la seguente dichiarazione:<br />
«Questo libro vuole essere soprattutto la prova che tutti possono<br />
imparare ad argomentare in maniera adeguata, utilizzando<br />
pensieri e parole aperti al dialogo con il prossimo, senza cadere<br />
nel ridicolo né mettere in ridicolo l’altro, evitando una inutile<br />
modestia e abbracciando invece la fruttuosa umiltà». La retorica,<br />
ai suoi inizi, fu guardata spesso, e <strong>non</strong> a torto, con diffidenza.<br />
I temibili «sofisti» erano filosofi, o retori, che si dichiaravano<br />
disponibili a sostenere indifferentemente una causa o la causa<br />
opposta, ad affermare indifferentemente la verità o la falsità di<br />
qualunque testi. Nell’antica Atene poteva accadere che un uomo<br />
politico di primo piano fosse ostracizzato, ossia mandato in