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GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE

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Corte ospitale (www.corteospitale.org), produttrice dello spettacolo,<br />

ho avuta questa opportunità. Tutta la mia gratitudine.<br />

Chiacchierata numero 72<br />

I mestieri dello scrittore, 1. Quando, terminata la conferenza sulle magnifiche<br />

sorti e progressive della narrativa italiana, andiamo tutti<br />

all’osteria a bere qualcosa (io, ad addentare un panino: in corpo ho<br />

solo il caffè delle sei di mattina), il signore con la barba a un certo<br />

punto dice: «Eh, beato lei!».<br />

«Beato perché?», domando.<br />

«Perché fa la bella vita!», dice sorridendo il signore con la barba.<br />

«Se ne sta sempre tranquillo, nella sua cameretta, a scrivere, si perde<br />

nelle sue fantasie…».<br />

«Veramente», dico, «in questo momento la mia cameretta è distante<br />

tre ore e mezza di treno».<br />

Arrivano le birre.<br />

«Ma sì», insiste sempre sorridendo il signore con la barba, «lei gira<br />

il mondo, oggi qui, domani là, senza pensieri…».<br />

«Si decida», dico. «Lei mi immagina sempre chiuso nella mia cameretta<br />

o sempre in giro per il mondo?».<br />

Il signore con la barba ha un attimo di esitazione.<br />

«Be’», dice, «un po’ questo e un po’ quello. Fatto sta che è una<br />

bella vita, no?».<br />

«Ah», dico, «che sia bella <strong>non</strong> discuto. È comunque la vita che mi<br />

sono cercato. Ma che sia bella per quelle ragioni lì, ne dubito».<br />

Il signore con la barba decide che lo sto provocando, e fa la faccia<br />

un po’ incazzata.<br />

«Insomma, mi dica», dice, «mi dica che cosa vuole dire».<br />

«Voglio dire», dico, «che la mia vita è una vita abbastanza comune.<br />

Un po’ lavoro in casa, parecchio vado in giro. Andare in giro <strong>non</strong> è<br />

particolarmente distensivo: pensi lei, oggi ho preso il treno alle tre e<br />

115<br />

quaranta, grazie a un po’ di ritardo sono arrivato che erano quasi<br />

le otto, alle otto e mezza ero già nella sala della conferenza.<br />

Domani ho il treno alle sei e un quarto…».<br />

«Ma chi gliela fa fare», mi interrompe il signore con la barba,<br />

visibilmente seccato. «Può partire anche un po’ più tardi, no? O<br />

lo fa apposta per farsi compatire?».<br />

I compagni di tavolata, mi accorgo, sono tutti zitti. Stiamo<br />

dando spettacolo.<br />

«Posso partire alle dieci e mezza», dico. «Però poi ho un problema<br />

col cambio, e il viaggio mi dura quasi un’ora di più, arrivo<br />

alle tre del pomeriggio. Invece partendo alle sei e un quarto<br />

posso far conto di essere a casa per le dieci e mezza: ho ancora<br />

mezza mattinata che posso lavorare».<br />

«E che lavoro fa?», domanda il signore con la barba.<br />

«Secondo lei», domando io a lui, «quello che ho fatto questa<br />

sera è lavoro o no?».<br />

Rimane un attimo interdetto.<br />

«No», dice. «Lei questa sera si è limitato a parlare delle cose<br />

che sa».<br />

«Quindi <strong>non</strong> è lavoro?».<br />

«No», dice il signore con la barba tutto soddisfatto.<br />

«Quindi», riepilogo pedantemente, «uscire di casa alle tre del<br />

pomeriggio, prendere l’autobus, arrivare in stazione, fare un tot<br />

di ore di treno, saltare la cena, parlare per due ore di cose che<br />

so», e qui calco la voce, «perché le ho studiate, cenare con un panino<br />

all’osteria, dormire in pensione, ripartire alle sei e un quarto<br />

di mattina, eccetera: questo, per lei, <strong>non</strong> è lavorare? Non è fatica?».<br />

Sono stato troppo pedante. Gli ho dato il tempo di preparare<br />

una risposta pronta.<br />

«Non dico che <strong>non</strong> è fatica», dice. «Ma <strong>non</strong> è lavoro».<br />

«Che cosa è lavoro?», domando subito.

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