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GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE

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<strong>non</strong> solo le lingue e le scritture possono essere imitate, ma anche le<br />

forme musicali, le forme grafiche, le forme architettoniche e urbanistiche<br />

(e infatti si parla spesso di “linguaggio” musicale, visivo, architettonico,<br />

urbanistico…). Ma di questo, con qualche esempio da<br />

Oceano mare di Alessandro Baricco, parliamo la prossima settimana.<br />

A risentirci.<br />

Chiacchierata numero 8<br />

Buongiorno. La settimana scorsa avevo promesso qualche esempio<br />

di imitazione − di imitazione ben riuscita, s’intende − tratto da Oceano<br />

mare di Alessandro Baricco. Ma l’altro giorno, in un laboratorio di<br />

scrittura a Bergamo, ho parlato appunto di imitazione − che è,<br />

avrete capito, un mio cavallo di battaglia −: e c’è stato un coro di<br />

proteste. «Ma se io imito», mi è stato detto, «dove va a finire la mia<br />

originalità?». L’originalità <strong>non</strong> c’entra, io penso. Ma per spiegarmi<br />

devo prenderla alla larga.<br />

Noi tutti scriviamo in una lingua: la lingua italiana (si può anche<br />

scrivere in dialetto, o in lingue miste; ne riparliamo alla fine). Questa<br />

lingua, la lingua italiana, <strong>non</strong> ce la siamo mica inventata noi:<br />

l’abbiamo ricevuta, imparata. I genitori, gli adulti, i coetanei, i libri, i<br />

giornali, la televisione, la radio: tutti ci hanno insegnata la lingua italiana.<br />

È ovvio però che la lingua italiana la parliamo ciascuno di noi<br />

a modo suo. Ogni scrittore ha una sua lingua più o meno riconoscibile;<br />

ciascuno di noi, anche nel parlato più intimo, familiare e incontrollato,<br />

ha suoi propri modi di dire, giri sintattici, parole, articolazioni<br />

del discorso.<br />

Esiste poi un mito romantico: quello dello scrittore − del poeta, in<br />

particolare − che “reinventa” la lingua in cui scrive. Lo scrittore secondo<br />

l’immaginazione romantica <strong>non</strong> parla la lingua, per così dire,<br />

dei comuni mortali; parla una lingua che gli viene dritta dal cuore, o<br />

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dalla pancia, o dalla musa, o da dio, o dall’ispirazione, o da chissadove.<br />

Bene: questa immaginazione romantica era certamente<br />

opportuna a suo tempo: la lingua letteraria di allora, tra fine<br />

Sette e inizio Ottocento, era una lingua molto stilizzata, molto<br />

regolata, molto scelta, e quindi anche molto limitata, molto<br />

ideologica (inconsapevolmente ideologica, ma ideologica),<br />

molto − diciamolo − letteraria. Lo scrittore romantico sentiva<br />

giustamente il bisogno di trovare, ossia inventare, un’altra lingua<br />

letteraria: che fosse, appunto, meno letteraria, o addirittura<br />

per niente letteraria.<br />

Ma i tempi cambiano. Alessandro Manzoni fu uno scrittore<br />

romantico − vabbè, il romanticismo in Italia è stato una cosa<br />

all’acqua di rose, in confronto agli sfracelli dei tedeschi: ma<br />

Alessandro Manzoni è stato romantico nei limiti del possibile in<br />

Italia: era già scandaloso, ricordiamocelo, che avesse eletto a<br />

protagonisti del suo romanzo due «vili meccanici», due poveracci,<br />

anziché principi e re − e costruì una lingua romantica così<br />

ben fatta, così efficiente, così ben funzionante, che dopo lui<br />

tutti, o quasi tutti, divennero manzoniani. La rivoluzione si era<br />

compiuta. Dopo il tempo dell’innovazione era venuto il tempo<br />

dello sfruttamento dell’innovazione acquisita: fino alla rivoluzione<br />

successiva... (ho un tantino semplificato; portate pazienza).<br />

Che c’entra questo con l’imitazione? C’entra tanto. La tradizione<br />

letteraria − cioè il mucchio di tutti i testi scritti prima che<br />

noi scrivessimo i nostri − è uno sterminato magazzino di parole,<br />

di frasi, di giunti sintattici, di forme della narrazione, di metri,<br />

di rime; tutto questo magazzino, noi possiamo immaginarlo<br />

come una lingua: la lingua della narrazione e della poesia. Ogni<br />

momento noi, anche quando ogni sera raccontiamo al coniuge<br />

com’è andata la giornata, attingiamo senza pensarci su, senza<br />

nemmeno accorgercene, a questo sterminato magazzino: esat-

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