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GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE

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mia curiosità fino a quel punto - se in due copie diverse del libro<br />

l’ordine delle pagine/schede è lo stesso. Presumo che sì; ho un’idea<br />

di quanto costa fare i libri; e produrre due o tre mila libri ciascuno<br />

con un diverso ordine delle pagine/schede, è un costo da far venire i<br />

capelli bianchi.<br />

Tra chi frequenta corsi o laboratori di scrittura, <strong>non</strong>ché tra i cosiddetti<br />

“aspiranti scrittori” che mi mandano i loro dattiloscritti, è diffuso<br />

un pregiudizio: che la narrazione sia un semplice supporto, o<br />

addirittura un’occasione, per la libera attività fantasticante del lettore.<br />

«Io scrivo, ma poi il lettore deve essere libero di immaginare<br />

quello che vuole»: così mi viene detto, più o meno. E se faccio notare<br />

che una scena è incompleta, che di un personaggio <strong>non</strong> si sa<br />

neanche se è maschio o femmina, che <strong>non</strong> si capisce se l’azione avviene<br />

a New York o a Berlino o a Giarre, eccetera; mi viene detto:<br />

«Voglio che il lettore sia libero di immaginarsi la scena come vuole,<br />

il personaggio come vuole, la città come vuole».<br />

Ora; <strong>non</strong> so voi; ma io, quando leggo un libro, quando sono un<br />

semplice lettore, <strong>non</strong> voglio questo. Ho letto fin da bambino, ho<br />

cominciato con i romanzi di Salgàri e della baronessa Orczy, il libro<br />

d’avventure è per me il prototipo di ogni libro. Certo: oggi sono un<br />

lettore più raffinato, mentre leggo vedo i meccanismi della narrazione,<br />

distinguo nel giudizio tra narrazione e scrittura, eccetera; ma per<br />

ridiventare il lettore che ero quando avevo sei anni, mi bastano tre<br />

secondi. Se ho davanti a me due ore di treno e <strong>non</strong> ho con me<br />

niente da leggere, senza esitazione compero un Urania, un manga,<br />

un Superpoket, un Mito (mai un giallo): e in treno leggo beatamente,<br />

come legge beatamente il più ingenuo dei lettori; salvo poi, arrivato<br />

a destinazione, buttare via il libro: perché mi basta uscire dalla lettura<br />

quel tanto che serve per smontare dal treno, per rendermi conto che<br />

ciò che stavo leggendo era una schifezza. Ma fin che lo leggevo, accidenti!,<br />

sono stato al gioco.<br />

Questo per dire che io sono, come molti, come - spero - tutti, un<br />

lettore ingenuo. E, come tutti, voglio che mi si racconti una storia:<br />

25<br />

che cominci dal principio e finisca con la fine, che mi avvinca e mi rapisca,<br />

che riempia la mia immaginazione e <strong>non</strong> mi lasci più un solo pensiero<br />

mio.<br />

Tuttavia, il pregiudizio di cui sopra contiene, come tutti i pregiudizi,<br />

qualcosa di vero. E un libro come quello di Marc Saporta<br />

ha un suo senso. Ne parliamo tra una settimana.<br />

Chiacchierata numero 16<br />

Buongiorno. Descrivevo, settimana scorsa, un libro che ho<br />

comperato una libreria a metà prezzo: Composizione n. 1, di Marc<br />

Saporta (pubblicato da Lerici nel 1961). Un libro composto <strong>non</strong><br />

di pagine rilegate ma di fogli sciolti, ciascuno recante una scena<br />

o un breve episodio; con in copertina l’avviso: «Si invita il lettore<br />

a mescolare queste pagine come un mazzo di carte. L’ordine<br />

delle pagine è casuale: mescolandole, a ciascuno il “suo” romanzo».<br />

E dicevo, settimana scorsa: di questa libertà, della libertà<br />

di mescolare le pagine, <strong>non</strong> so che cosa farmene; io voglio<br />

una storia con un inizio e una fine…<br />

Vediamo.<br />

In quarta di copertina di quel libro c’è scritto: «Una vita si<br />

compone di parecchi elementi. Ma infinito è il numero delle<br />

possibili combinazioni». È vero? Ma sì, è vero, si potrebbe dire;<br />

benché le combinazioni (delle pagine) siano <strong>non</strong> infinite ma<br />

moltissime (e parecchie di queste siano assai simili tra loro: se<br />

solo una pagina cambia di posto, ho davvero un “altro” romanzo?).<br />

E invece, dirò, <strong>non</strong> è per niente vero.<br />

La mia vita (quarantadue anni, dieci mesi e diciannove giorni,<br />

oggi che leggete questo pezzo) consiste in un’unica combinazione.<br />

Non posso tornare indietro e cambiare. Certo: posso, nel<br />

raccontare (a me stesso, a voi, a chiunque) la mia storia, introdurre<br />

spostamenti, cancellazioni, invenzioni; posso, in somma,

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