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GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE

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Chiacchierata numero 99<br />

Quando lavoravo nell’ufficio stampa della Confartigianato del Veneto<br />

(negli anni Ottanta) scrivevo tutti i giorni almeno cinque o sei<br />

cartelle.<br />

(«Cartella» è una gloriosa parola del linguaggio giornalistico. Una<br />

«cartella» è un foglio di carta battuto a macchina, con trenta righe di<br />

testo, ciascuna lunga - circa - sessanta battute. Milleottocento battute<br />

in tutto. In pratica, scrivendo sul foglio di carta standard - che <strong>non</strong><br />

era l’A4 oggi universalmente diffuso - bastava mettere l’interlinea<br />

uno e mezzo, e lasciare due centimetri di margine per parte, e si otteneva<br />

una perfetta «cartella». Perché il nome «cartella» - da charta,<br />

chartula: foglio, foglietto - si sia conservato con questo senso solo nel<br />

giornalismo, <strong>non</strong> lo so proprio).<br />

Ogni giorno, dicevo, scrivevo almeno quattro o cinque cartelle.<br />

Spesso di più.<br />

Il nostro ufficio produceva vari tipi di testi. Scrivevamo comunicati<br />

stampa da spedire ai giornali; discorsi che poi altri avrebbero<br />

pronunziati in convegni e congressi; articoli per le sette riviste bimestrali<br />

di trentadue pagine ciascuna (rispettivamente: per l’edilizia, i<br />

parrucchieri e le estetiste, l’artigianato d’arte, i gelatieri, gli autotrasportatori<br />

e i tassisti, gli artigiani del tessile; più una rivista politicosindacale<br />

di taglio generalista) che uscivano in realtà irregolarmente<br />

ma erano comunque un bell’impegno; un’agenzia stampa quasi quotidiana<br />

(cinque giorni per settimana, ogni uscita con una dozzina di<br />

notizie e almeno un approfondimento); manuali e manualetti sugli<br />

argomenti più svariati.<br />

In somma, avevamo il nostro bel da fare. Eravamo in due (c’erano<br />

dei collaboratori ma, come dire: erano giornalisti ai quali ci conveniva<br />

dare uno stipendio, ma <strong>non</strong> era necessario che lavorassero; anche<br />

in questo modo si guadagnava spazio sulla stampa; uno di loro lo<br />

vidi forse due volte in sette anni), e per questa mole di lavoro essere<br />

in due <strong>non</strong> è tanto: anche perché le riviste <strong>non</strong> basta scriverle, biso-<br />

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gna anche inventarle, impaginarle, illustrarle, eccetera; e per<br />

scrivere su un argomento bisogna pure studiarlo (c’è chi fa a<br />

meno, ma <strong>non</strong> va bene); e poi il lavoro di un ufficio stampa<br />

consiste anche nel tenere relazioni, nel fare telefonate, nello<br />

spingere di qua e nel tirare di là; nell’inventare gli slogan per le<br />

idee dell’organizzazione; eccetera.<br />

Eravamo in due: l’altro era il capo, e io ero il giovane. Per ragioni<br />

che mi sembrano evidenti il lavoro di relazioni era tutto<br />

appannaggio del capo (tra l’altro, è un lavoro per il quale io sono<br />

negato). E <strong>non</strong> è un lavoro che prenda poco tempo. In sostanza,<br />

il novanta per cento di quel che si scriveva lo scrivevo<br />

io; il capo si riservava i testi più difficili da fare (<strong>non</strong> necessariamente<br />

i più importanti), solitamente perché ricchi di mediazioni,<br />

di sottintesi politico-sindacali, di allusioni e di ammiccamenti<br />

(un lavoro da servizi segreti, ci dicevamo, ridendo).<br />

Quindi io scrivevo le mie quattro o cinque, ma talvolta anche<br />

le mie quindici o venti cartelle quotidiane. Quando si avvicinavano<br />

i congressi dell’organizzazione, il lavoro diventava parossistico.<br />

La Confartigianato è un’organizzazione che associa imprenditori<br />

artigiani. Ai congressi dovevano prendere la parola i<br />

presidenti delle associazioni locali e delle unioni di mestiere:<br />

persone magari abilissime nel loro lavoro, ma spesso del tutto<br />

inette nel parlare in pubblico (spesso anche nel parlare in italiano<br />

standard). Mi ricordo le settimane precongressuali come<br />

lunghi sogni ad occhi aperti. Telefonavamo a Tizio, gli chiedevamo<br />

che cosa intendesse dire al congresso, Tizio ce lo spiegava<br />

a modo suo (e in buon dialetto), noi scrivevamo gli interventi,<br />

li spedivamo per posta o via fax (la rete era ancora una<br />

cosa per specialisti), loro ritelefonavano per aggiustare qualcosa,<br />

noi riscrivevamo, eccetera. Tre, quattro, cinque ore al giorno a<br />

fare questo. Non era, ovviamente, solo un lavoro di scrittura:<br />

era anche un lavoro politico, di mediazione e di moderazione<br />

(l’imprenditore artigiano veneto, come tutti coloro che si fanno

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