GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE
GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE
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dola da tutte le post-lingue, scartavetratando le incrostazioni che la<br />
storia umana (la pre-lingua è quasi inevitabilmente pre-umana,<br />
esterna alla storia) le ha depositate sopra.<br />
Ecco allora due paradossi. Uno: l’artista romantico troverà dentro<br />
di sé, nel suo profondo, la lingua sua propria; e identificherà magicamente<br />
questa lingua sua propria con la pre-lingua che sottostà a<br />
tutte le lingue effettivamente parlate. Due: l’artista romantico disprezzerà<br />
la lingua «comune», nel senso di: «quella che si parla e si<br />
scrive tutti i giorni»; e cercherà invece una lingua «comune», nel senso<br />
di: «originaria e sottostante a tutte le lingue».<br />
C’è insomma una contraddizione insanabile tra due desideri che<br />
stanno in chi racconta storie − come, credo, in qualsiasi artista −: il<br />
desiderio di esprimersi e il desiderio di comunicare. Con «esprimersi»<br />
intendo lo «spremere fuori da sé» (questa è l’etimologia) ciò che si<br />
ha dentro di più proprio, intimo e privato. Con «comunicare» intendo<br />
invece il «trovare qualcosa di comune» con l’interlocutore (il lettore):<br />
ossia, a ben vedere, l’esatto contrario.<br />
Se mi pesto il dito col martello, urlo: l’urlo è certamente originario,<br />
comune a tutti; appartiene certamente alla pre-lingua (l’urlo <strong>non</strong> è<br />
nemmeno una vera e propria parola); esprime certamente ciò che in<br />
quel momento io ho di più mio, intimo e privato (un male cane).<br />
Possiamo dunque dire che con l’urlo io «mi esprimo». Mia moglie,<br />
due stanze più in là, sentirà l’urlo: ma che significato gli darà? In fin<br />
dei conti un urlo di «urrà!» <strong>non</strong> è così diverso da un urlo di dolore.<br />
E comunque, dall’urlo in sé, <strong>non</strong> si capisce di che dolore si tratti: un<br />
dolore fisico? un dolore morale? un dolore divino? (Certo: prima i<br />
colpi di martello; poi l’urlo, e i colpi che si interrompono; mia moglie<br />
capisce tutto, <strong>non</strong> è mica scema; ma la sua mente sfrutta i dati di<br />
contesto, decifra <strong>non</strong> l’urlo ma la situazione − che contiene, come<br />
un oggetto e <strong>non</strong> come una parola, anche l’urlo).<br />
Quando, due giorni dopo, racconto l’incidente a mio cognato esibendo<br />
il ditone imbozzolito di garze, naturalmente lo faccio sorridendo:<br />
perché, insomma, pestarsi un dito col martello<br />
15<br />
nell’appendere un quadro, è da idioti; e se <strong>non</strong> racconto la cosa<br />
sorridendo, se cioè <strong>non</strong> mi mostro superiore agli avvenimenti,<br />
se <strong>non</strong> eseguo un trattamento ironico della narrazione<br />
dell’incidente, se <strong>non</strong> metto una distanza tra il me che racconta<br />
e il me che agisce nel racconto, rischio di fare appunto la figura<br />
dell’idiota. Con mio cognato, <strong>non</strong> deve succedere. Se racconterò<br />
bene, lui capirà tutto: capirà perfino che sto raccontando<br />
ironicamente perché <strong>non</strong> voglio passare da idiota; ne dedurrà<br />
che io sono sì stato idiota per un istante − quanto bastava per<br />
pestarmi un dito − ma che poi mi sono subito ripreso, e attualmente<br />
ho messa la testa a posto. Non lo farò più. Il mio racconto<br />
quindi «comunica», in quanto tiene conto<br />
dell’interlocutore, della mia relazione con lui, delle sue reazioni<br />
al mio stesso racconto, eccetera.<br />
***<br />
Nello scrivere, nel narrare, siamo continuamente tirati da questi<br />
due desideri: dal desiderio di esprimerci, ossia di cacciare degli<br />
urli, e dal desiderio di comunicare, ossia di intavolare una<br />
relazione con il lettore. La contraddizione <strong>non</strong> è sanabile; la<br />
volontà di sanarla produce afasia. Nemmeno il giusto mezzo,<br />
che è come una neutralizzazione di entrambi i desideri, è una<br />
soluzione sensata. La soluzione sensata è, secondo me: accettare<br />
la contraddizione, accettare di essere tirati da due desideri<br />
contraddittori, tentare di farli coesistere.<br />
C’è chi è di natura più portato all’espressione, chi più alla comunicazione.<br />
Dante adopera tutte le parole che gli capitano a<br />
tiro, Petrarca seleziona scrupolosissimamente il suo lessico. Il<br />
Manzoni ci racconta la sua storia nel modo più normale possibile,<br />
il Gadda racconta le sue storie in modi così bizzarri da <strong>non</strong><br />
essere nemmeno capace di portarle a conclusione. Ma la scelta<br />
della comunicazione <strong>non</strong> impedisce a Manzoni di trovare di