GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE
GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE
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«Biglietto, prego», dice il controllore.<br />
Mi sveglio. Vedo la schiena del controllore.<br />
Guardo nel portafoglio, niente, apro la tasca grande dello zaino, niente, apro<br />
la tasca media dello zaino, niente.<br />
«Biglietto, prego», dice il controllore.<br />
È per me.<br />
«Un momento», dico.<br />
Nella tasca piccola dello zaino, niente.<br />
«Quanto le ci vuole?», dice il controllore.<br />
Tiro giù il cappotto dalla reticella.<br />
«Stavo dormendo», dico. «Stavo anche sognando».<br />
Nelle tasche del cappotto, niente.<br />
«Ce l’ha o no?», dice il controllore.<br />
«L’ho fatto alla macchinetta automatica», dico, continuando a frugare in tutte<br />
le tasche possibili.<br />
«Me lo faccia vedere», dice il controllore.<br />
«Certo», dico io. Ormai mi sto frugando anche nelle mutande.<br />
«Se <strong>non</strong> ce l’ha», dice il controllore, «fa prima a dirlo subito».<br />
«Ce l’ho», dico, ricominciando il giro delle tasche.<br />
«Me lo faccia vedere», dice il controllore.<br />
«Arrivo», dico.<br />
«Ce l’ha o <strong>non</strong> ce l’ha?», dice il controllore.<br />
In quel momento mi accorgo che il biglietto è sul sedile. Ci ho dormito sopra.<br />
Qui il dialogo è, se possibile, ancora più vuoto e ridondante. Il suo<br />
senso è, ancora, di mostrare la relazione tra i due personaggi (controllore<br />
e viaggiatore). Il controllore parla la lingua aggressiva<br />
dell’autorità; il viaggiatore cerca di sgusciare via, fornisce inutili assicurazioni<br />
della sua buona fede («L’ho fatto alla macchinetta automatica»),<br />
dà risposte incongrue («Stavo anche sognando»), ma nella<br />
sostanza accetta l’aggressione dell’autorità; e manifesta l’accettazione<br />
agitandosi tutto in cerca del biglietto, cercandolo «anche nelle mu-<br />
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tande»: cioè mettendo tutto il suo corpo, simbolicamente denudato<br />
dal frugarsi, a disposizione dell’autorità.<br />
Nel dialogo quindi <strong>non</strong> contano solo le battute scambiate:<br />
contano anche i gesti, i movimenti dei personaggi; gesti che sono<br />
in parte una sorta di "punteggiatura" del dialogo, ma che<br />
possono anche diventare una sorta di "controdialogo": "dicendo"<br />
cose che le parole <strong>non</strong> dicono. Ma ne parliamo tra una settimana.<br />
Chiacchierata numero 58<br />
Buondì. Settimana scorsa dicevo che nel dialogo <strong>non</strong> contano<br />
solo le battute scambiate ma anche i gesti, i movimenti dei corpi:<br />
che costituiscono una sorta di "punteggiatura" del dialogo,<br />
ma possono anche diventare una sorta di "controdialogo", "dicendo"<br />
ciò che le battute <strong>non</strong> dicono. Vi propongo un altro<br />
esempio da Federigo Tozzi. Si tratta del racconto «Gli amanti»:<br />
Lui: Perché <strong>non</strong> vieni a baciarmi?<br />
Lei: Tu cominceresti a volermi bene, ma <strong>non</strong> c’è più tempo.<br />
Lui: Non è vero!<br />
Lei: Io <strong>non</strong> voglio parlare di come tu: ti sei comportato con me.<br />
Lui: Hai ragione tu; e mi puoi rimproverare.<br />
Lei: È troppo tardi; t’ho detto.<br />
Lui: E pure, ieri sera ti sei lasciata baciare! E mi baciavi anche tu.<br />
Lei: Perché io sono sempre stata la stessa con te.<br />
Lui: E perché stamani <strong>non</strong> sei più?<br />
Lei: Devi pentirti. Esci. Puoi andartene.<br />
Lui: Mi devi perdonare.<br />
Lei: Tu ancora <strong>non</strong> sei sicuro del tuo pentimento.<br />
Lui: Se tu vuoi, stamani me ne vado, ma oggi torno. Te lo prometto.