GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE
GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE
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camente rispunta, e che è l’esplicitazione di una sorta di “complesso<br />
d’inferiorità” della narrativa italiana rispetto alle altre narrative, soprattutto<br />
quella anglosassone; l’inferiorità consistente, volta a volta,<br />
nella minore capacità di produrre solide trame, nello scollamento<br />
con la società reale, nella mancanza di senso epico, nell’elitarismo<br />
bellettristico o, come nella versione esposta da Covacich,<br />
nell’incapacità di «spremere la vita, metterla sotto torchio»: mentre<br />
gli scrittori statunitensi, si dice, <strong>non</strong> fanno altro tutto il giorno.<br />
Nei giorni scorsi ho riassunto e commentato il pezzo di Covacich<br />
nel mio diario in rete (http://giuliomozzi.clarence.com). Le reazioni,<br />
tra i lettori del diario, sono state le più varie. Ne riporto alcune, scegliendole<br />
tra quelle che esprimono disaccordo.<br />
Un lettore che si firma Mario Zero scrive: «Ma siamo davvero sicuri<br />
che nei libri cerchiamo brani di realtà? Io <strong>non</strong> ne sono affatto<br />
convinto. Leggiamo forse Dante o Shakespeare o Tolstoi per avere<br />
un’immagine precisa del medioevo o dell’Inghilterra elisabettiana o<br />
dellka Russia dell’Ottocento? Non mi pare. La letteratura è<br />
l’opposto della realtà. Nella realtà, soprattutto in quella "sociale",<br />
tutto appare confuso, insensato, mentre nell’arte le parole formano<br />
una bellezza, un senso, ed è per questo che le amiamo. Il mondo è<br />
uno sgabuzzino soffocante, l’arte prova ad aprire una finestra, ad<br />
aggiungere aria e un senso ulteriore. L’arte, da sempre, partecipa al<br />
regno dello spirito, <strong>non</strong> a quello della baraonda sociale. […] Agli artisti<br />
chiedo di aprire il mondo, <strong>non</strong> di raddoppiarlo».<br />
Una lettrice che si firma A<strong>non</strong>ima Sequestrata scrive: «A Mauro<br />
Covacich direi che, naturale, dicesse, facesse e pensasse quel che<br />
vuole. Soprattutto gli dicevo di curarsi di casi suoi […] sforzandosi<br />
lui stesso, in qualità di scrittore, di far lo scrittore nel modo che più<br />
lo aggrada, giusto scrivendo. La domanda che si fa per mestiere perché<br />
richiesto da un giornale letto da migliaia, […] m’augurerei che se<br />
la ritorcesse, principalmente quando pensa gratis tra sé e sé, modificandola<br />
dunque in questa quasi identica: perché mi sottraggo a tutto<br />
ciò? Perché lo ignoro mentre racconto le mie storie?».<br />
80<br />
Un lettore che si firma Demetrio scrive: «Cosa manca, agli<br />
autori italiani? Forse l’onestà. Non so ma tutte le volte che leggo<br />
[…] noto un deficit di onestà. Dire la cosa che conta. Dare<br />
un segno alla realtà, darne una voce. Organizzare una storia che<br />
abbia una voce che sia sentita reale da parte di chi ci legge. Forse<br />
dovremmo avere più tempo e meno impegni. La scrittura e il<br />
gesto dello scrivere è un’azione lenta e antica. E forse questo<br />
tempo sdegnato e veloce <strong>non</strong> ci permette di trovare il giusto<br />
ritmo e la giusta voce. Essere onesti forse è quello che manca<br />
agli scrittori. Onesti nel dire: abbiamo grandi pensieri, magnificenti<br />
concetti del vivere, ma caro lettore noi andiamo di fretta e<br />
quello che possiamo offrirti è questo testo. Così. Smozzicato,<br />
spizzicato e storticato. E’ il massimo che possiamo offrirti. Forse<br />
questo nostro atto (dico nostro nel senso più ampio) di<br />
umiltà potrebbe darci la forza di scrivere un testo che morda la<br />
realtà».<br />
Un lettore che si firma Ardito Piccardi (don Ardito Piccardi<br />
era il protagonista del romanzo Il cielo e la terra di Carlo Coccioli)<br />
scrive: «Dato che la realtà è il segno utilizzato dalla verità per<br />
manifestarsi. Dato che la verità <strong>non</strong> si capisce ma si incontra.<br />
L’importante è che lo scrittore sia onesto. Onesto, artista, e per<br />
il resto libero di essere così com’è. Il mondo può discutere, ma<br />
poi nella vita ci si innamora di una donna brutta e stronza, di un<br />
uomo che ci stava sulle palle, e si scopre un libro che ci tocca<br />
nervi sconosciuti. Credo si debba solo distinguere tra letteratura<br />
e virtuo-trucchetti-simil-questo-o-quello. Se uno scrittore dà il<br />
sangue, quello è uno scrittore, anche se alla shampista <strong>non</strong> piace».<br />
Che cosa, dunque, intendo suggerire, allineando questi estratti<br />
di reazioni al pezzo di Mauro Covacich? Una cosa sola. Quando<br />
l’autore si interroga su ciò che fa, e si azzarda a manifestare questo<br />
interrogarsi in pubblico, stia attento. Perché spesso l’autore si