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GIULIO MOZZI (non) UN CORSO DI SCRITTURA E NARRAZIONE

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da sé, ha facilmente tendenze criminali: basti guardare l’aggressività<br />

della Lega, che dal punto di vista antropologico è sicuramente il<br />

partito i cui vertici somigliano di più alla base - e viceversa).<br />

La redazione dell’agenzia quotidiana era un altro bell’impegno.<br />

Ogni giorno bisognava cavar fuori una dozzina di notizie concernenti<br />

l’artigianato: ma questo era il meno. Un’organizzazione genera<br />

da sé le sue notizie. Il più era, materialmente, scriverle: spiegando<br />

tutti gli aspetti tecnici in modo da renderle comprensibili, potenzialmente,<br />

a chiunque; e colorandole, anche le notizie più tecniche,<br />

del colore politico-sindacale della nostra organizzazione. Mi ricordo<br />

quando scoppiò la polemica sugli acconciatori unisex. In Veneto, allora,<br />

c’era una legge che regolava il mestiere di acconciatore: e distingueva<br />

tra «parrucchieri per signora» e «barbieri». Ma in quegli<br />

anni il mercato si stava trasformando; approdavano in Italia le grandi<br />

catene di acconciatura, che <strong>non</strong> facevano più distinzione tra maschi<br />

e femmine. Bisognava regolamentare diversamente il mestiere,<br />

in modo che gli artigiani più in gamba potessero trasformare la loro<br />

bottega in salone di acconciatura… unisex. «No», dissi io nel corso di<br />

una riunione della Fnapusma (Federazione nazionale acconciatori<br />

per uomo e signora & mestieri affini), «<strong>non</strong> unisex. Casomai bisex:<br />

lavorano per entrambi i sessi». Apriti cielo. Nessuno voleva gli acconciatori<br />

bisex: sembrava una brutta cosa. Tutti li volevano unisex:<br />

usando una parola che diceva il contrario di ciò che si voleva dire.<br />

(Quella, tra parentesi, per me fu una battaglia persa. Gli acconciatori<br />

veneti sono tuttora unisex, e lavorano per entrambi i sessi).<br />

Perché vi racconto tutto questo? Perché ogni volta che qualcuno<br />

mi domanda: «Ma che cosa devo fare, che cosa devo studiare, per<br />

diventare uno scrittore?», a me vengono in mente quei sette anni in<br />

Confartigianato. Durante i quali imparai molte cose sulla scrittura:<br />

anche, tra le altre cose, a scrivere questo articolo in, aspettate che<br />

controllo, diciotto minuti e mezzo. Trecentoventisette battute al minuto.<br />

159<br />

Chiacchierata numero 100<br />

State leggendo la centesima e ultima puntata di questa rubrica<br />

scritta da giulio mozzi, che sono io, intitolata Scriptorium (nome<br />

trovato da Gianni Bonina, direttore di Stilos), e annunciata nella<br />

sua prima puntata con la frase: «Questa è la prima puntata di un<br />

corso di scrittura e narrazione a puntate».<br />

Mi sono riletto le novantanove puntate precedenti e mi sono<br />

domandato: «Veramente ho compilato un corso di scrittura e<br />

narrazione a puntate?». Mi sono risposto: «Ma, sostanzialmente<br />

no. Il concetto di corso a puntate contiene, così a occhio, un qualche<br />

concetto di progressione didattica. Da un corso di scrittura e<br />

narrazione, poi, cosa che so bene perché la sento dire da quasi<br />

tutti coloro che partecipano ai corsi e laboratori da me condotti,<br />

ci si aspetta in genere l’apprendimento di tecniche (talvolta degradate<br />

a trucchi del mestiere): e io <strong>non</strong> posso dire di avere insegnate<br />

delle tecniche. Un corso poi dovrebbe essere un qualchecosa di<br />

sistematico, di organizzato; mentre questa rubrica è stata vagante<br />

e divagante. La stessa serie conclusiva, dedicata ai Libri che<br />

insegnano a scrivere, è stata tutto fuorché un’ordinata e completa<br />

bibliografia». «E allora?», mi sono domandato di nuovo, «Ho<br />

forse buttato via il tempo di me che ho scritto, di coloro che<br />

hanno letto?». «Spero di no», mi sono risposto, «spero di no ma<br />

<strong>non</strong> posso esserne sicuro. Il fatto è che la riduzione della scrittura<br />

e della narrazione a tecniche è, così mi sembra, una delle cose<br />

più perniciose per il bene della scrittura e della narrazione.<br />

Certamente un contenuto tecnico c’è nello scrivere e nel narrare;<br />

così come nel fare l’amore c’è un contenuto tecnico, ed è<br />

perfino possibile l’apprendimento di tecniche, di operazioni, di<br />

procedure, eventualmente con l’adoperamento di strumenti e<br />

marchingegni; ma credo che difficilmente si possa credere che il<br />

fare l’amore possa essere ridotto al suo contenuto tecnico; tanto

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