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xciii congresso nazionale - S.I.O.e.Ch.CF.

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G. Iadecola<br />

312<br />

ne, ingiustificata fretta, senza adottare le cautele indicate dalla comune<br />

esperienza e dettate da precise regole dell’arte medica. Imprudente è anche<br />

il comportamento temerario del medico, che ricorre allorché questi non si<br />

astenga, all’infuori dell’urgenza, dall’intervenire in casi che non era in<br />

grado di affrontare adeguatamente perché estranei al proprio settore di<br />

specializzazione;<br />

3) imperizia: che vuol dire carenza della preparazione tecnica adeguata<br />

necessaria in ogni buon professionista per svolgere l’attività sanitaria. E’<br />

evidente che non si può esigere da tutti i medici il massimo della “perizia”,<br />

ossia della bravura tecnica, essendo questa influenzata da diverse “variabili”,<br />

come l’età, l’esperienza, la stessa qualificazione professionale raggiunta.<br />

E’ pacifico in giurisprudenza che se la prestazione medica fosse di<br />

particolare complessità, il giudizio sulla colpa per imperizia debba essere<br />

ispirato a comprensione e benevolenza, potendo l’imperizia essere ritenuta<br />

solo quando la condotta del medico denoti carenza di quei livelli minimi<br />

fondamentali di conoscenza tecnica e capacità professionale che è lecito<br />

pretendere da chiunque sia abilitato all’esercizio della medicina.<br />

Allorché, poi, si tratti di attività svolta in “équipe”, si ritiene che la ricerca<br />

della colpa debba essere riportata ai seguenti fondamentali criteri:<br />

1) la regola ordinaria è quella del cd. affidamento, in base alla quale ciascun<br />

partecipe dell’ “èquipe” deve riporre fiducia nel corretto adempimento dei<br />

compiti di spettanza da parte degli altri componenti, rispondendo unicamente<br />

delle condotte colpose a lui personalmente addebitabili;<br />

2) insorge peraltro un dovere di controllo di sorveglianza sull’operato altrui<br />

su quel soggetto cui la legge attribuisce una posizione apicale all’interno<br />

del gruppo, in forza della quale egli abbia proprio lo specifico compito di<br />

dirigere, coordinare e sorvegliare l’attività dei collaboratori;<br />

3) si configura altresì un obbligo di intervento in capo a qualsiasi membro<br />

dell’ ”équipe” che abbia avuto occasionalmente modo di percepire comportamenti<br />

scorretti ed inadeguati osservati da altri, i quali (comportamenti)<br />

lascino prefigurare la consumazione di reati di lesioni colpose od<br />

omicidio colposo in danno del paziente. In tal caso insorge il dovere di<br />

segnalare al capo-équipe quanto riscontrato perché intervenga con le<br />

opportune disposizioni.<br />

Viene ordinariamente precisato dalla Corte di Cassazione che i singoli partecipi<br />

dell’ “èquipe” non solo possano, ma anzi debbano non adeguarsi<br />

alle prescrizioni impartite dal soggetto di vertice e “resistere” ad esse, rappresentandone<br />

le ragioni al medesimo, allorché si tratti di disposizioni evidentemente<br />

erronee in quanto palesemente contrastanti con pacifiche<br />

regole dell’arte medica o con principi di legge (la cui esecuzione darebbe<br />

luogo, cioè alla consumazione di un reato). Se il medico non rifiuta l’esecuzione<br />

della disposizione, evidentemente inadeguata, data dal capo-équipe,<br />

egli diventerà corresponsabile dell’eventuale reato da questi commesso.

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