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Dai Luoghi pii alla pubblica assistenza in Terra di Lavoro

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179<br />

iscritti deceduti avevano superato il numero <strong>di</strong> 10 all’anno e non c’erano i fon<strong>di</strong> per<br />

pagarle. Spesso le messe erano celebrate <strong>in</strong> una chiesa <strong>di</strong>versa da quella stabilita nel<br />

testamento perché i sacerdoti delle parrocchie assegnatarie <strong>di</strong> molte messe ritenevano<br />

l’elemos<strong>in</strong>a fissata dai testatori troppo bassa, per cui si rifiutavano <strong>di</strong> celebrarle.<br />

L’elemos<strong>in</strong>a era stata f<strong>in</strong>o al 1784 <strong>di</strong> do<strong>di</strong>ci grani, <strong>in</strong> seguito fu portata a 15; nel 1807 la<br />

cappella laicale della Croce <strong>di</strong> Aversa non trovava sacerdoti che celebrassero messe per<br />

17 grani. L’importo fu portato a venti grani. A una certa data però il vicario <strong>di</strong>ocesano<br />

impose la celebrazione delle messe nelle chiese alle quali erano stati lasciati i legati.<br />

Nella chiesa <strong>di</strong> S. Sofia a Giugliano 21 sacerdoti celebravano 11.394 messe all’anno.<br />

L’alto numero <strong>di</strong> messe non consentiva a tutti un guadagno ritenuto da essi<br />

significativo. Bisogna anche tenere conto che spesso le messe dovevano essere celebrate<br />

da un sacerdote designato dal testatore, che <strong>di</strong> solito era un <strong>di</strong>scendente della sua<br />

famiglia 3 . Tra i sacerdoti, qu<strong>in</strong><strong>di</strong>, ce n’erano alcuni che avevano un certo numero <strong>di</strong><br />

messe garantite. Nella chiesa <strong>di</strong> S. Sofia, ad esempio, c’erano due sacerdoti, Nicola<br />

Siribello e Raffaele Pirozzi che avevano assicurate rispettivamente 80 e 208 messe<br />

all’anno e poi partecipavano, evidentemente, <strong>alla</strong> ripartizione delle rimanenti con gli<br />

altri sacerdoti. Nel 1815 nel bilancio <strong>di</strong> questa chiesa è riportata la notizia che, <strong>in</strong><br />

precedenza, il Consiglio degli ospizi aveva ridotto sensibilmente il numero delle messe<br />

dest<strong>in</strong>ando parte dell’importo <strong>alla</strong> voce elemos<strong>in</strong>e per i poveri, ma a seguito delle<br />

pressioni della Commissione comunale, che faceva presente come il numero delle messe<br />

era costituito dai lasciti <strong>di</strong> benefattori, l’aveva riprist<strong>in</strong>ato considerando, non sappiamo<br />

con quanta atten<strong>di</strong>bilità, che “i sacerdoti sieno effettivamente miserabili” e che i poveri<br />

del comune erano “provveduti <strong>di</strong> elemos<strong>in</strong>e dagli altri stabilimenti”. I sacerdoti spesso<br />

contendevano ai poveri le elemos<strong>in</strong>e dei luoghi <strong>pii</strong>. E se le con<strong>di</strong>zioni economiche della<br />

popolazione <strong>in</strong> una <strong>di</strong>ocesi ricca e ubicata <strong>in</strong> un’area geografica particolarmente fertile<br />

erano queste, bisogna ritenere che nelle zone <strong>in</strong>terne la situazione fosse molto più<br />

<strong>di</strong>sagevole. A Frattamaggiore si recitavano circa 10.000 messe all’anno. A S. Antimo la<br />

Cappella del Sacramento aveva lasciti per celebrarne 1006 all’anno compresi quattro<br />

anniversari. La Confraternita <strong>di</strong> S. Rocco e S. Sebastiano ne celebrava 500. La chiesa<br />

dello Spirito Santo circa 2.300 dopo che il Tribunale misto aveva autorizzato la loro<br />

riduzione, avendo aumentato l’importo delle s<strong>in</strong>gole messe. Di alcuni legati, a favore <strong>di</strong><br />

questa chiesa, non si avevano più notizie <strong>di</strong>st<strong>in</strong>te “per essere antichissimi” 4 . Il più antico<br />

3 Era questo un altro modo per far restare all’<strong>in</strong>terno della famiglia il patrimonio. “I legati sacri,<br />

scrive Macry, <strong>di</strong>ventano vere e proprie quote ere<strong>di</strong>tarie e illustrano il doppio vantaggio <strong>di</strong> una<br />

presenza ecclesiastica <strong>in</strong> famiglia: a <strong>di</strong>fesa dell’unità patrimoniale e delle anime <strong>di</strong> casa”, op. cit.<br />

p. 129.<br />

4 Di seguito riportiamo le donazioni <strong>di</strong> cui si aveva notizia certa: l’abate Antonio Blasiello, con<br />

atto del notaio Ottavio Buonocore <strong>di</strong> Napoli del 1608, aveva lasciato <strong>alla</strong> chiesa un capitale <strong>di</strong> 100<br />

ducati ipotecati su un territorio sito nelle pert<strong>in</strong>enze <strong>di</strong> Melito e altri 50 ducati con i quali i<br />

governatori della chiesa avevano acquistato due case vic<strong>in</strong>o al forno pubblico. Prospera Alb<strong>in</strong>o<br />

aveva donato con atto del notaio Giovanni Michele Fusco del 27 aprile del 1610 do<strong>di</strong>ci quarte e<br />

mezza <strong>di</strong> territorio e un capitale <strong>di</strong> 100 ducati. Mar<strong>in</strong>o Martoriello il 29 giugno 1612 con atto del<br />

notaio Decio Scarpa aveva lasciato un legato <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci messe all’anno su <strong>di</strong> una bottega che aveva<br />

donato <strong>alla</strong> chiesa. Lucantonio Pascale aveva lasciato otto quarte, none sette e mezza qu<strong>in</strong>ta <strong>di</strong><br />

territorio per il capitale <strong>di</strong> 110 ducati, giusta testamento rogato da Decio Scarpa il 5 <strong>di</strong>cembre<br />

1614. Il canonico Giovanni Battista <strong>di</strong> Donato aveva donato “l’<strong>in</strong>tiera sua robba” col legato <strong>di</strong> 312<br />

messe all’anno, giusta l‘atto del notaio Domenico Campanile dell’8 maggio 1688. Lo stesso aveva<br />

fatto don Giulio Verde lasciando tutta la sua ere<strong>di</strong>tà <strong>alla</strong> chiesa con testamento rogato dal notaio

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