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Dai Luoghi pii alla pubblica assistenza in Terra di Lavoro

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del Santo nella lunga processione che fa per tutto il paese dai migliori cavalli, muli e<br />

buoi riccamente adornati, e con seriche coverte, e la bontà dei fuochi pirotecnici, nei<br />

quali sono valentissimi quei del paese, e per cui sorge una gara tra i fuochisti del luogo e<br />

quelli della vic<strong>in</strong>a città <strong>di</strong> Aversa” 24 .<br />

Proveremo a ricostruire la festa attraverso i documenti che abbiamo r<strong>in</strong>venuto per gli<br />

anni 1817,1818 e 1820 25 .<br />

Gli amm<strong>in</strong>istratori della Cappella <strong>in</strong> quel periodo erano Francesco Saverio Campanile <strong>in</strong><br />

quanto s<strong>in</strong>daco del comune, Ferd<strong>in</strong>ando Storace, Domenico Polito e don Antimo<br />

d’Agost<strong>in</strong>o governatori, segretario Cristofaro <strong>di</strong> Cristofaro, cassiere <strong>in</strong>ter<strong>in</strong>o era il<br />

parroco della chiesa matrice don Angelo Javarone. La Cappella non aveva beni<br />

immobili, se non <strong>in</strong> misura ridottissima, le sue entrate consistevano quasi<br />

esclusivamente <strong>in</strong> offerte <strong>in</strong> denaro, vettovaglie e voti d’oro e d’argento, raccolti durante<br />

l’anno e particolarmente nei giorni della festa patronale. Nella fase preparatoria<br />

fervevano i lavori, il “serviente” della chiesa, puliva il marmo della balaustra e<br />

dell’altare della cappella, mentre un ban<strong>di</strong>eraio napoletano riparava i parati. Per<br />

quest’ultima operazione, curata dal reverendo don Giuseppe Ciccarelli, si spendevano<br />

qu<strong>in</strong><strong>di</strong>ci ducati. Si faceva aggiustare “il cignone della campana grande nonché la<br />

scal<strong>in</strong>ata per salire sopra al campanaro” e si riparava l’organo con una spesa <strong>di</strong> quattro<br />

ducati 26 .<br />

Veniva issata una tela con la raffigurazione del Santo, detta Ban<strong>di</strong>era, sul tetto della<br />

chiesa, <strong>in</strong> modo che fosse ben visibile d<strong>alla</strong> piazza e vi restava per la durata della festa 27 .<br />

I festeggiamenti <strong>in</strong>com<strong>in</strong>ciavano il giorno dell’onomastico del protettore, cioè il 10<br />

maggio, col panegirico nella chiesa matrice, che nel 1817 fu tenuto dal reverendo<br />

Gaetano Di Donato, che fece anche i sermoni durante la novena, percependo<br />

complessivamente sette ducati e mezzo. Per l’occasione venivano chiamati anche gli<br />

addobbatori per ornare la chiesa, guidati da don Domenico Menna che <strong>in</strong>cassava cento<br />

ducati. Il quattro maggio, <strong>in</strong> quell’anno, <strong>in</strong>iziarono i lavori per “apparare la chiesa<br />

Matrice parrocchiale, ov’è eretta la Cappella del Santo Protettore, e farla stare apparata<br />

per otto giorni” f<strong>in</strong>o al 18. Lo stesso Menna costruiva un tosello, cioè un baldacch<strong>in</strong>o,<br />

24 Alfonso Maria Storace, op. cit. pp. 66-67. Storace parla pure della sacra rappresentazione <strong>in</strong> tre<br />

atti che si teneva <strong>in</strong> piazza. I primi due erano rappresentati la sera della vigilia, qu<strong>in</strong><strong>di</strong> il sabato, e<br />

il matt<strong>in</strong>o della domenica il terzo che term<strong>in</strong>ava con la decapitazione del santo. Sulla festa <strong>in</strong> età<br />

moderna Cfr. Raffaele Flagiello, Maria Puca, Franco <strong>di</strong> Foggia, Il volo degli angeli, cit..<br />

25 ASN, Consiglio generale degli Ospizi, fascio 3207. Sulle feste <strong>in</strong> Campania <strong>in</strong> età<br />

contemporanea Cfr. Lello Mazzacane, Il sistema delle feste, <strong>in</strong> Storia d’Italia, Le regioni, La<br />

Campania, Tor<strong>in</strong>o 1990.<br />

26 Probabilmente si fa riferimento <strong>alla</strong> c<strong>in</strong>ghia che lega la campana all’asta che la sorregge e <strong>alla</strong><br />

scala per salire sul campanile che <strong>in</strong> <strong>di</strong>aletto napoletano si <strong>di</strong>ce “campanaro”. Questa campana<br />

def<strong>in</strong>ita grande era, probabilmente troppo pesante per le caratteristiche del campanile. Infatti, si<br />

raccomandava che “detta campana non patisca per avere una mole troppo rara e speciosa nel<br />

suono” si prescriveva qu<strong>in</strong><strong>di</strong> che poteva “ sonarsi solamente nelle festività ed <strong>in</strong> qualche<br />

gravissima circostanza” <strong>pubblica</strong>, cfr. ASN, Tribunale misto, processi, f. 54, ff. 9. All’epoca il<br />

serviente era Domenico Liguori e il ban<strong>di</strong>eraio Pascale Oliva. Il cignone era riparato da Salvatore<br />

Perfetto e l’organo da don Carlo Astarita.<br />

27 Sul rito della ban<strong>di</strong>era e sul suo significato, risalente al mito <strong>di</strong> Persefone, cfr. Raffaele<br />

Flagiello e Maria Puca, Sopravvivenza <strong>di</strong> un antico rito nell’agro atellano, la ban<strong>di</strong>era <strong>di</strong><br />

Sant’Antimo, S. Antimo 1987. Sulla festa ve<strong>di</strong> anche Teresa L. Savasta, S. Antimo orig<strong>in</strong>i culto<br />

tra<strong>di</strong>zioni, S. Antimo 1986. Gli operai percepivano 26 grani per issare la Ban<strong>di</strong>era.

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